
Leccornie a “centimetro zero”
Questo articolo fa parte del numero 12 di Web Garden: il Sapore dei Fiori.
I colori dei fiori della primavera giungono ad allietare il nostro sguardo, ma possono regalarci anche grandi delizie del palato.
Altro che “sostenibilità” e “chilometro zero”: concetti tanto di moda quanto ingannevoli.
Ci sono ristoranti, dal Nord Europa all’Estremo Oriente, dove queste parole sono intese nel loro senso più rigoroso. Luoghi che coltivano frutta, verdura ed erbe aromatiche a pochi metri dalla propria cucina. È la nuova frontiera della ristorazione: l’autoproduzione unita a un astuto utilizzo di quelle fonti rinnovabili che la Natura ancora ci regala. Qui, di fianco ai tavoli, spuntano orti e piccoli terreni coltivati per menù “a centimetro zero”, ché il chilometro sarebbe già troppo.
In Italia, uno dei più famosi è il ristorante Piazza Duomo, alle porte di Alba.
Tre stelle e un punto esclamativo sulla Guida Michelin, alla voce “merita il viaggio!”. Lì, poco distante, sorgono una serra e un orto dove vengono coltivati (in regime biologico e biodinamico) gli ortaggi, le erbe e i fiori che lo chef Enrico Crippa raccoglie personalmente ogni mattina; 400 specie vegetali, tra botaniche e orticole, dalle più comuni alle più rare.
La passione dello chef per gli ortaggi è dimostrata dal suo cavallo di battaglia: l’Insalata 21, 31, 41 dove i numeri indicano la varietà di foglie e piante utilizzate per questo piatto, la cui combinazione varia ogni giorno, in base alla disponibilità e alla stagionalità.

Nel Nord Europa, e precisamente in Islanda, c’è un esempio di cucina e produzione alimentare strettamente legate alla terra. È quella di Dill, a Reykjavík, primo ristorante islandese a ricevere una stella Michelin (2017); inaugurato nel 2009 con l’obiettivo di offrire un’esperienza unica attraverso l’uso di materie prime autoctone – ortaggi a radice, semi e piccole piante – con metodi e preparazioni tradizionali, come la salatura e l’affumicatura, o moderni, come la disidratazione.
Da Dill, protagonista della cucina sono cultura e territorio. Il pane di segale, ad esempio, viene cotto all’interno di un recipiente ermetico e sepolto in una sorgente geotermica per 24 ore. Un’ottima soluzione quando vivi su un’isola con quantità illimitate di energia termica sotterranea.
Anche in Oriente la cucina riscopre i sapori della tradizione.
Baan Tepa è un ristorante molto famoso a Bangkok. Si tratta di una casa costruita negli anni Ottanta, riconvertita in uno spazio alimentare urbano. L’approccio alla cucina e al cibo è guidato dall’autenticità. Gli ingredienti sono coltivati e allevati da piccole comunità agricole, o provengono dall’orto urbano che si trova proprio al centro del complesso. Le verdure e i semi vengono selezionati tra le varietà che crescono in Thailandia. Il giardino è il luogo in cui si trovano le piante, nelle vasche rialzate si coltiva a rotazione una serie di erbe aromatiche, verdure e spezie.
Tutto è lavorato nel rispetto della sostenibilità: le piante vengono nutrite con il compost ricavato dagli avanzi di cibo della cucina e dalle erbacce del giardino. L’esperienza culinaria di Baan Tepa è immersiva. Gli ospiti vengono accolti, portati nell’orto e incoraggiati a raccogliere le erbe e le spezie per conoscere meglio gli ingredienti che assaporeranno durante la cena.
Il cibo non è solo un bisogno necessario alla sopravvivenza, ma veicola un messaggio culturale legato al luogo d’origine. È elemento di aggregazione e di condivisione: il cibo nutre e scalda il cuore. E se c’è un geyser, poi.



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