L’origine dei giardini botanici è antichissima e culturalmente trasversale. Inizialmente luoghi in cui si coltivavano piante medicinali, unica fonte di cura un tempo disponibile, le prime tracce della loro esistenza risalgono all’epoca egizia del faraone Tutmosi III con il giardino di Karnak, ma erano noti anche nell’antica Atene, a Roma e fra gli Aztechi, con il grande giardino voluto da Montezuma e successivamente distrutto dagli spagnoli.
La loro diffusione crebbe durante il Medioevo, quando i religiosi coltivavano horti sanitatis all’interno dei monasteri e presso le università di medicina e farmacia. Nel Rinascimento e con la scoperta delle Americhe la funzione dei giardini botanici si espanse a quella di luoghi di raccolta e ricerca scientifica, dove specie diverse venivano osservate e classificate. Oggi nel mondo ve ne sono di meravigliosi, diversissimi tra loro per flora, paesaggio, storia e spirito.
Non si può iniziare alcun excursus se non dai Kew Gardens di Londra. Patrimonio universale dell’UNESCO, raccolgono circa 50.000 specie diverse, conferendo a questo luogo il pregio della maggiore biodiversità al mondo. Ubicati a circa 10 km dalla capitale inglese, fra Richmond Upon Thames e Kew, si estendono su una superficie di 120 ettari che comprende arboreti, serre, pagode e persino una vera e propria foresta pluviale nella Palm House, una serra innovativa edificata negli anni ’40 del diciannovesimo secolo, oggi vero e proprio simbolo di questi giardini e custode di un habitat in felice contrasto con il freddo clima britannico.
Kirstenbosch Botanical Garden di Cape Town city.
Considerato uno dei più bei giardini del continente africano, il Kirstenbosch Botanical Garden, istituito nel 1913 lungo le pendici della Table Mountain di Città del Capo, in Sud Africa, ha la peculiarità di essere il primo giardino botanico al mondo dedicato alla coltivazione delle specie vegetali autoctone. Vi si curano infatti 7000 varietà di piante diverse, molte delle quali rare oppure a rischio di estinzione e tutte provenienti dall’Africa meridionale.
La Botanical Society Conservatory è una serra dedicata alla conservazione le piante provenienti dalle regioni aride, ma all’interno di questo splendido giardino che si estende su 30 ettari vi sono anche una foresta, un fymbos (una sorta di vegetazione a macchia), un giardino pensile dedicato alle erbe aromatiche, uno dedicato alle piante medicinali del luogo ed un parco di sculture.
Butchard Gardens, Vancouver
I Butchard Gardens sull’isola di Vancouver, a mezz’ora dalla città di Victoria, sono ancora gestiti privatamente dalla famiglia che li ha creati e che ogni anno accoglie migliaia di visitatori. Tanto belli da essere proclamati nel 2004 “sito storico nazionale del Canada”, si estendono su 22 ettari ed oltre a raccogliere un’incredibile varietà di piante, ospitano moltissime specie di uccelli ornamentali provenienti da tutto il mondo. La loro particolarità è quella di offrire la possibilità di godere di giardini molto diversi fra loro: poco dopo l’ingesso vi è un sunken garden (giardino infossato), ma i visitatori possono scegliere di passeggiare nel roseto, a cui si accede tramite un viale fiorito, oppure nel giardino italiano, in quello giapponese o ancora in quello mediterraneo. Il tutto è attraversato da cascatelle e corsi d’acqua ed animato dal cinguettio di uccelli variopinti.
Koishikawa Korakuen, Tokyo
Inaspettata oasi di pace nel cuore pulsante della frenetica Tokyo, i giardini Koishikawa Korakuen risalgono al periodo Edo (1603-1867). Voluti dal signore feudale Yorifusa, furono portati a compimento da suo figlio Shun Shunsui nel 1669. Questo luogo è caratterizzato da una diversità di scorci e vedute ed all’estetica nipponica si somma una forte influenza stilistica cinese. Raggiunge il suo maggiore splendore durante la primavera con la fioritura dei celebri sakura, i ciliegi giapponesi, ma si colora del rosso degli aceri in autunno e gode della fioritura dei pruni alla fine dell’inverno. Tra i paesaggi in miniatura fatti da camminamenti di pietra, laghetti e colline, in fondo al giardino si trova anche un piccolo campo di riso.
Inhotim, Brumadinho, Brasile.
A completare questo piccolo giro del mondo per giardini botanici vi è l’Inhotim Institute and Botanical Gardens di Brumandinho, in Brasile. A circa 60 km da Belo Horizonte, questo progetto è nato dalla volontà del magnate Bernardo Paz con l’intento originario di ospitare la sua collezione d’arte, una delle maggiori collezioni private del paese ed una delle più reputate al mondo. Dal 2011 però la proprietà è anche un giardino botanico: ospita circa cinquemila specie di piante diverse, di cui mille e duecento sono solo le palme. Inoltre, questo è l’unico giardino dell’America Latina a coltivare il Carrion Flower, una specie nativa dell’Asia e considerato il fiore più grande al mondo.
Nei secoli bui del Medioevo, quando l’unico riparo dalle orde dei Barbari che scendevano da Nord erano le mura di un castello o di un monastero, la Storia disegnava una nuova fisionomia dell’Europa.
L’architettura, seguendo le leggi della sopravvivenza, confinava la quotidianità tra le cinta dei nuovi insediamenti. Tutto era chiuso e sicuro: nascita, morte, preghiere, artigianato e studi, svaghi e mercati, allevamento, orti, campi e frutteti. Nel mondo la Natura si riappropriava dei suoi spazi. Le terre che erano state bonificate e coltivate fino alla caduta dell’Impero romano tornavano al proprio stato originario.
Fuori dilagavano i boschi. Dentro, ordinato come una liturgia, nasceva il giardino monastico.
Benché coltivato all’interno dei centri religiosi medievali, il Giardino dei Semplici non indicava alcuna virtù cristiana.
Era un orto destinato a piante ed erbe officinali: Simplicis Medicinae e Simplicis Herbae, medicamenti preparati con una sola pianta, a differenza dei Composita, i rimedi misti, dove gli ingredienti erano mescolati dai monaci con sapienza e qualche azzardo. Poco più in là, nello stesso spazio recintato del monastero (Hortus Conclusus), crescevano ortaggi.
Già nel mondo antico la botanica era una disciplina straordinariamente importante. Plutarco (I-II secolo d.C.), il prolifico biografo greco di cui gli ex studenti ricordano con vaghezza le Vite Parallele, attestava la presenza di un giardino di piante medicinali e velenose nell’Asia Minore del III secolo a.C. voluto da Attalo, re di Pergamo.
Intanto Teofrasto (IV-III secolo a.C.), discepolo di Aristotele, scriveva due corposi trattati sulle piante, classificandone 455 specie e passando alla storia come “il padre della botanica”. Il greco Dioscoride (I secolo d.C.) si concentrava Sulle erbe mediche, testo sacro della farmacopea antica, utilizzato fino al XVII secolo quando fu scavalcato dalla nascita della medicina moderna.
Orto Botanico di Pisa
Nel frattempo, in Italia,Plinio il Vecchio (I secolo d.C.) dedicava sedici libri della sua mastodontica Naturalis historia a erbe, coltivazioni e medicamenti.
Poi calarono gli Unni, e con essi un’altra ventina di tribù germaniche. Roma cadde, l’Impero si disgregò, si instaurarono i regni romano-barbarici. Iniziò il Medioevo. In quei centri di cultura e salvaguardia della memoria che furono abbazie, monasteri e conventi, la giornata – fitta di impegni – era organizzata con meticolosità. Grazie a questa disciplina Ildegarda di Bingen (1098-1179) poté essere monaca, musicista, badessa, artista, teologa, compositrice, poetessa e diventare infine Santa, ma anche passare alla storia come una botanica formidabile.
Nel suo Liber Simplicis Medicinae sono raccolte oltre 300 specie vegetali da usare come farmaci “semplici”. Per la ritenzione idrica e le infiammazioni renali c’era il levistico (Levisticum officinale); contro i vermi parassiti il tanaceto (Tanacetum vulgare), ottimo anche per la gotta e i reumatismi. Le malattie infettive dell’apparato respiratorio erano curate con la santoreggia (Satureja L.), il diabete con il cumino (Cuminum cyminum). Ogni disturbo aveva la sua pianta, e se è vero che molte cure erano palliative, se non talvolta dannose, è anche vero che oggi la scienza ha confermato l’utilità di certi antichi rimedi.
Intanto il lungo millennio del Medioevo avanzava verso il Rinascimento. Nei Giardini dei Semplici si affacciavano altre specie, spesso non medicinali. Gli orti dei monaci si spostavano in quei nuovi centri della cultura e del sapere che erano le università, dove le piante erano coltivate a scopo didattico e scientifico, da professori e studenti non sempre interessati a indagarne le proprietà officinali.
Fuori le mura dei conventi, nel 1543 Cosimo I de’ Medici fondava il primo orto universitario al mondo, quello di Pisa (la cui posizione attuale risale però al 1591, ndr). Due anni dopo (1545), l’ateneo di Padova inaugurava quello che è a tutt’oggi il più antico orto botanico ancora nella sua collocazione originaria. Nello stesso anno nasceva quello, maestoso, di Firenze (1545). La botanica stava diventando una scienza autonoma, si distaccava dalla Medicina, e dal Giardino dei Semplici germogliava semplicemente il giardino.
L’arnica montana (Arnica montana L.) è una pianta terapeutica della famiglia delle Asteraceae, utilizzata nella medicina fitorerapica e omeopatica per curare vari disturbi.
Essa è una pianta perenne, a fusto eretto, alta dai 20 ai 60cm ed è caratterizzata da infiorescenze che presentano grandi capolini color giallo-arancione, esteticamente simili a quelli della margherita – tanto che molti la confondono con essa – che colorano i paesaggi montuosi da maggio ad agosto.
Endemica dell’Europa, in Italia la si trova soprattutto sulle Alpi e sugli Appennini settentrionali. Infatti esige un habitat particolare: il terreno deve inanzitutto superare i mille metri di altitudine, successivamente deve possedere una determinata acidità e deve essere privo di ristagni, ma soprattutto dev’essere un terreno impervio.
Secondo un’antica credenza, infatti, ironicamente, l’arnica cresce nei luoghi dove è più facile cadere e farsi male: questo perché “Dio aveva voluto dare agli uomini il danno e il suo rimedio”.
Ebbene, è stato dimostrato che gli estratti vegetali dell’arnica possiedono attività antibatterica, antitumorale, antiossidante, antinfiammatoria, antimicotica e immunomodulante. Dagli estratti dei fiori, in particolare, si producono creme e gel omeopatici per uso topico esterno per contrastare il dolore derivante da contusioni, slogature, stiramenti, distorsioni e cervicalgia.
Viene citata in quanto medicinale per la prima volta nel XII secolo nel “De arboris” da Hildegard von Bingen, monaca benedettina, scrittrice, mistica e teologa tedesca per il trattamento di contusioni ed ecchimosi, ma venne trattata intensivamente nei testi medici solo a partire XVI secolo ad Bergzabern (1520–1590), il quale la descrisse e inoltre le attribuì il nome attuale.
Nel XV secolo, le guide alpine ne masticavano le foglie essiccate per prevenire gli affaticamenti dovuti alle arrampicate; mentre i montanari della Savoia, la mischiavano al tabacco della pipa, perché provocava meno tosse o la usavano come tabacco da fiuto. Ciò le valse anche i nomi di Tabac des Vosges o tabacco di montagna.
Inoltre il celebre scrittore Goethe, in seguito a dolori al petto dovuti all’abuso di alcol, era solito prepararsi infusi all’Arnica, elogiandone le proprietà curative.
Bisogna però ricordare che, nonostante gli usi sopra descritti, l’arnica è tossica: l’ingestione anche di pochi fiori può provocare allucinazioni, disturbi digestivi e persino la morte. Come tutte le piante officinali con potenti propietà, l’arnica va dunque usata con parsimonia e conspevolezza, questo perchè “Dio ha voluto dare agli uomini il rimedio e il suo danno”.
DISCLAIMER
Le informazioni qui riportate vogliono essere solo a scopo illustrative e non si vuole assolutamente sostituire il parere medico.
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