Api in alta quota

Api in alta quota

Questo articolo fa parte del numero 16 di Web Garden: Il linguaggio della Natura: le api.

Tra le 20mila specie di api che ronzano sulla Terra, la più diffusa si è formata sopravvivendo alle glaciazioni. Si chiama Apis mellifera ligustica, meglio conosciuta come “ape italiana”: quella che vediamo in primavera e in estate mentre passa di fiore in fiore per catturare nettare e polline. Nonostante questa immagine bucolica di petali, pistilli e prati colorati, alle api il caldo piace pochissimo. Lo sanno bene gli apicoltori, che in estate spostano le arnie in zone riparate dal sole, mentre le api ventilatrici si danno un gran daffare sbattendo freneticamente le ali – due paia ciascuna – per rinfrescare l’alveare. 

A differenza di quanto credono i più, le api italiane stanno benissimo nelle regioni fredde e nelle zone montane. In inverno, quando le arnie sono coperte di neve, gli alveari respirano perché la neve è permeabile: all’interno non si forma un eccesso di anidride carbonica né di umidità. Basta che le famiglie siano forti e abbiano una scorta sufficiente di mieli e sciroppi. 

Un vecchio manuale americano (L’ape e l’arnia; 1921) mostrava immagini di un esperimento estremo: famiglie di api sopravvissute in piena salute a un inverno in cui le temperature erano arrivate a -30 gradi e il vento a 27 chilometri l’ora. E, nel suo Bee Behavior (1980), il celebre apicoltore statunitense Stephen Taber (1924-2008) spiegava le tecniche di conduzione degli alveari dalla Svezia al Canada, garantendo la possibilità di fare apicoltura produttiva anche dove il clima è freddo e la stagione del raccolto breve. 

All’inizio degli Anni Duemila, l’apicoltore finlandese Pekka Tuomanen riusciva a produrre in soli 2 mesi tra gli 80 e i 100 kg per alveare. Un record di maestria: e tutto con l’ape italiana.

Benché nell’ultima grande glaciazione le pianure non esistessero, spesso chi vive di apicoltura preferisce le regioni pianeggianti. È una condizione climatica che allontana l’Apis mellifera ligustica dal suo habitat naturale, ignorandone la millenaria memoria generica. Come direbbe Nanni Moretti, «continuiamo così, facciamoci del male»: perché – scrive Gabriele Milli nel visitatissimo blog apicolturaonline.it – andando avanti con questo sistema «si impoverisce irrimediabilmente l’Apis mellifera ligustica di una caratteristiche fondamentale: la sua estrema adattabilità». 

Slow Food, che di biodiversità ne capisce, nel 2012 ha avviato il Presidio dell’ape nativa della Sierra Norte di Puebla (Messico). Qui, a un’altitudine media di 1.825 metri, vive una razza speciale di ape senza pungiglione, che gli indigeni chiamano Pisilnekmej (nome scientifico: Scaptotrigona Mexicana), allevata in arnie composte da due vasi di terracotta da cui si ricava un miele speziato e piccante al naso, con note di agrumi in bocca, usato come alimento o come medicinale. 

Più vicino a noi, se Germania e Austria hanno una lunga tradizione di mieli di montagna, l’Italia non è da meno. Gli apiari in quota sono numerosi sugli Appennini del Centro-Nord (700-1.000 metri), sulle Prealpi Lombarde, dove si produce un ottimo miele d’acacia (già di per sé piuttosto redditizio), in Trentino e in Alto Adige, dove il miele è superlativo: quello sudtirolese di Imkerei Hieslerhof, ad Avelengo (tra i 1.290 e i 1.600 metri in provincia di Bolzano), nel 2016 è stato premiato con l’oro dall’Associazione apicoltori. 

Tra i migliori prodotti italiani, selezionati dal 1981 dall’Osservatorio Nazionale Miele attraverso il Concorso Tre Gocce d’Oro, ci sono il Millefiori di Alta Montagna delle Alpi (vallata dolomitica) e il Miele di rododendro, prodotto in Piemonte nei pascoli di alta montagna. Certo, occorre duro lavoro. Lo stesso svolto delle api bottinatrici, che ronzano nei prati dall’alba al tramonto: appena tre secondi per ogni fiore e poi via, subito a impollinarne altro e a prelevarne il nettare dal fondo del calice – il nettario – arrivando a visitare 2mila corolle al giorno. E ricominciare daccapo la mattina dopo. 

Il delizioso cibo dorato: mieli dal mondo

Il delizioso cibo dorato: mieli dal mondo

Questo articolo fa parte del numero 16 di Web Garden: Il linguaggio della Natura: le api.

Il miele, delizioso cibo d’oro, è amato e conosciuto sin dai tempi antichissimi. I primi ad allevare le api furono gli egizi, lungo il delta del Nilo. Per i greci era il cibo degli dei: nella loro mitologia era Melissa, la figlia del re di Creta, a nutrire Zeus di questo nettare prezioso. I romani ne sfruttavano le proprietà terapeutiche e lo utilizzavano per la preparazione di birre, dolci ed idromele (una bevanda data dalla fermentazione del miele diluito in acqua).

È però sotto Carlo Magno, nel Medioevo, che l’apicoltura si struttura realmente. Un editto del 759d.C. imponeva a chiunque possedesse un podere di allevare le api per il miele e l’idromele, e conventi ed abbazie divennero importanti centri di apicultura.

Ma questo fluido meraviglioso è apprezzato in tutto il mondo da millenni, e se ne trova di ogni genere, dal semplice vasetto al supermercato fino a varietà pregiatissime. Il miele più costoso del mondo, per esempio, viene da una caverna profonda 1.800 metri nella valle del Saricayr, nel nord est della Turchia. Scoperto solo nel 2009 dall’apicoltore turco Gunay Gunduz, il miele Elvish (o miele degli Elfi) è stato venduto per la prima volta all’asta per 45.000 euro al kilo.

Gunduz aveva notato che alcune delle sue api erano sparite all’interno di una caverna. Dopo aver organizzato una vera e propria spedizione, l’apicoltore si è calato all’interno dell’antro per scoprire con sua grande sorpresa che nelle sue più remote profondità le api avevano colonizzato un’enorme camera dove il miele era invecchiato al buio per oltre sette anni. La sua particolarità è che non vi sono alveari, ma viene prodotto direttamente lungo le pareti rocciose ed in totale assenza di luce. Esposto a basse temperature, questo miele si cristallizza e richiede quindi un’attenta lavorazione una volta riportato in superficie. Il suo costo esorbitante è dovuto ad una combinazione di fattori che include la raccolta quanto meno impervia della materia prima, la sua complessa lavorazione, il sapore del tutto unico dato dalle sue condizioni e l’indiscutibile fascino che ammanta le sue origini. Il secondo kilo è stato venduto più a buon mercato: ha raggiunto solo i 28.800 Euro!

A small stream in the Rakiura National Park with Manuka trees and clouds reflected in the water.

In Nepal invece esiste un miele selvatico, le cui proprietà psicotrope gli hanno conferito il nome di “Mad Honey”. Definito come un miele allucinogeno, i suoi effetti spaziano da quelli della forte ubriacatura da alcool fino a quelli di un’overdose e derivano dalla graianotossina, una tossina presente nelle piante di rododendro da cui proviene ed è prodotto dalle api himalayane, le più grandi al mondo. La raccolta del Mad Honey è estremamente complessa e pericolosa, poiché gli alveari si trovano su declivi che richiedono le abilità di scalatori espertissimi per essere raggiunti, anche con l’ausilio di scale di bambù alte fino a centinaia di metri.

Una volta guadagnati gli alveari, i raccoglitori usano del fumo per fugare le api, che spesso si fanno aggressive ed i malcapitati non riescono ad impedire di rientrare alla base con decine di punture. Una volta compiuta l’impresa, il prezioso bottino è suddiviso fra i vari villaggi e deve compiere una lunga strada prima di arrivare alla commercializzazione, dove raggiunge il ragguardevole costo di circa 150 Euro al kilo. Nel 2016 il fotografo e documentarista David Caprara ha realizzato il film “The Honey Hunters of Nepal” ed ha sperimentato su di sé gli effetti di questo nettare decisamente inebriante. Questo miele è utilizzato da millenni all’interno della medicina tradizionale nepalese, come antisettico e come rimedio per la tosse. La tribù autoctona Kulung lo utilizza anche durante i riti di natura sciamanica, per favorire sogni e visioni.

Molto più conosciuto ed accessibile è il miele di Manuka. La pianta da cui proviene, è un sempreverde che cresce in Australia e Nuova Zelanda, ricca di metilgliossale: un principio attivo ben noto nella tradizione Maori per le sue proprietà antisettiche, antibatteriche, antiossidanti, cicatrizzanti ed antibiotiche tanto forti da essere efficaci anche contro il pernicioso stafilococco aureo. I suoi benefici sono talmente potenti che questo miele può essere sia ingerito che utilizzato per preparare impacchi cutanei disinfettanti. È efficace anche per la cura dei bruciori di stomaco, del reflusso gastroesofageo e di tutte le malattie da raffreddamento, come anche l’influenza, poiché aiuta ad aumentare le difese immunitarie.

A differenza dei primi due, questo piccolo nettare miracoloso è facilmente reperibile e si può acquistare a prezzi assolutamente più modici.

Apiari integrati: uno “zzzz” che insegna e guarisce

Apiari integrati: uno “zzzz” che insegna e guarisce

Questo articolo fa parte del numero 15 di Web Garden: Il linguaggio della Natura: le api.

Per le api, il 2017 è stato un anno cruciale: l’Onu ha istituito una Giornata Mondiale dedicata a questi preziosissimi insetti, che si celebra ogni 20 maggio e riconosce la loro importanza strategica per il nostro ecosistema.

Dopo non poche alzate di scudi, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha stabilito che le api sono a gravissimo rischio estinzione a causa di molteplici fattori, tra cui l’eccessiva urbanizzazione a discapito del loro habitat naturale, l’inquinamento ambientale e l’uso fuori controllo dei pesticidi. Secondo gli esperti, le ripercussioni di un mondo senza api sarebbero così gravi da stravolgere il volto della Natura e del nostro stesso Pianeta.

Da quella storica Assemblea, gli interventi per la sensibilizzazione e la salvaguardia delle api si sono moltiplicati, in nome della tutela della biodiversità di flora, fauna e di tutti quegli ecosistemi – non pochi – che soffrirebbero per la loro scomparsa. Così sono nati gli apiari integrati, concetto inizialmente ostico ai più, che esprime null’altro se non un nuovo, moderno e rispettoso concetto di apicoltura e api-cultura. Il primo apiario integrato d’Italia è nato a Marostica, in provincia di Vicenza, sulle colline di San Luca. Qui, Andrea Dal Zotto ha realizzato un’area protetta dove è possibile studiare, osservare e – in definitiva – imparare a rispettare le api e il loro universo.

L’apiario ingrato è composto da una struttura in legno cui vengono collegate, esternamente, le arnie destinate alla produzione del miele, a loro volta modificate per permettere ai profumi provenienti dagli alveari di saturare l’aria sia interna sia esterna. I benefici sono numerosi e interessanti. L’apiario integrato consente, ad esempio, di coniugare l’apicoltura con la pratica dell’api-aroma, speciale trattamento di
aromaterapia, e con quella dell’api-sound: là dove ascoltare il suono delle api è molto più che sentire un banale “zzzz”.

Sempre più studi hanno dimostrato che respirare l’aria di un alveare rafforza il sistema immunitario. Che sia merito delle resine o degli olii essenziali sprigionati dalla cera, del propoli o dello stesso miele, una serie di respiri profondi in compagnia delle api solleva lo spirito e fortifica il corpo. Questo tipo di aromaterapia ha un’azione curativa e benefica sull’apparato respiratorio e combatte le infiammazioni e i mali di stagione – quanto meno attenuandoli in maniera significativa. Non meno importante è l’api-sound, aiuto prezioso contro lo stress. Il ronzio delle api, con la sua frequenza di 432Hz, è perfetto per la meditazione e per le pratiche di rilassamento.

L’apiario integrato svolge così molteplici funzioni, sia didattiche sia curative. E, dal 2017 a oggi, sono nati numerosi progetti e altrettanto numerosi apiari. Uno tra gli ultimi a essere inaugurato è il Wonder Bee di Grottole, piccolo comune vicino a Matera (Basilicata), ideato nel 2020 su progetto dall’apicoltore Rocco Filomeno assieme a Davide Tagliabue e Carlo Roccafiorito. L’idea era creare un modello riproducile in scala, in modo da diventare una risorsa per l’intero territorio. Una missione felicemente compiuta, assieme all’obiettivo di fare conoscere alle persone – ma soprattutto ai bambini – le api, il loro mondo meraviglioso e l’importanza sostanziale che hanno per
l’ecosistema.

Lo scrittore Mario Rigoni Stern scriveva che «le api sono un insieme e non individui»: per loro è impossibile sopravvivere fuori dalla comunità. Ciascuno di questi incredibili insetti conosce la propria ragione d’essere e adempie ai propri doveri istintivamente, senza che nessuno glielo insegni, imponga o solleciti.

L’ape regina ha il solo compito di deporre le uova per garantire la longevità della famiglia, ed è così solerte da depositarne tra le 2 e le 3mila al giorno. I fuchi non devono far altro che fecondare la regina. Le api operaie, nomen omen, assolvono a tutte le altre mansioni: ci sono le api che puliscono le cellette; le api ceraiole che costruiscono e manutengono i favi di cera; le api becchine che eliminano dall’alveare le api
morte; le api guardiane, sentinelle formidabili nate per sorvegliare che nessuno entri nell’alveare.

C’è poi l’ape impollinatrice, la più importante tra tutte, che ha un ruolo fondamentale per garantire e mantenere la biodiversità della flora, e di conseguenza di tutti gli esseri viventi. Volando di fiore in fiore, su specie differenti di piante spontanee e d’interesse agricolo, si sporca il corpo e le zampette di polline, per poi trasportarlo su altri fiori permettendone la riproduzione. Così, se oggi l’incredibile e organizzato universo delle api non è più un mondo conosciuto soltanto da entomologhi, apicoltori e addetti ai lavori, un grazie va anche agli apiari integrati, che stanno avvicinando tantissime persone al loro piccolo, grande, imprescindibile “zzzz”.

L’universo delle api in quattro libri

L’universo delle api in quattro libri

Questo articolo fa parte del numero 15 di Web Garden: Il linguaggio della Natura: le api.

Per molti le api sono solo piccoli insetti che volano di fiore in fiore e producono miele. In realtà, da questa specie dipende il futuro del Pianeta e la salvaguardia della biodiversità. Che cosa succederebbe se le api scomparissero. Perché le api sono così importanti per la vita? E che cosa possiamo fare per preservarle? Quattro libri esplorano queste domande, fornendo alcune risposte per un futuro più sostenibile e rispettoso della Natura.

Oggi le api sono diventate mainstream. Se fino a pochi anni fa erano soltanto insetti che producevano miele, e da cui i bambini dovevano girare alla larga, da qualche tempo “api” è una parola da salotto e da dibattito TV: termometro dei cambiamenti climatici e della prepotenza dell’uomo, che pretende di governare la Natura utilizzando indiscriminatamente pesticidi e prodotti ben poco “green”.

Tutti, per sentito dire, ormai sanno che l’estinzione delle api sarebbe una catastrofe per il Pianeta. Ma come? E perché? E che cosa conosciamo davvero di questo universo così poliedrico e perfettamente organizzato?  Certo, le api sono importanti. La maggior parte del cibo che mangiamo cresce grazie alla loro opera quotidiana di impollinazione. Mele, pere, agrumi, zucchine, carote e cavoli sono solo alcuni degli alimenti che non esisterebbero senza le api. Ma non solo.

Questi insetti sono fondamentali per l’ambiente: la riproduzione e la diffusione di quasi il 90% delle specie vegetali spontanee e selvatiche dipende dalla loro opera di impollinazione. Ecco, allora, quattro libri per meglio comprendere come l’impatto di questi piccoli insetti sia fondamentale per la terra (e per la Terra), per la biodiversità e per la salvaguardia degli ecosistemi.


IL LINGUAGGIO DELLE API

di Karl von Frisch

(Bollati Boringhieri, 2012)

Il linguaggio delle api è il libro più importante dello scienziato austriaco Karl von Frisch, nel quale vengono illustrati gli esperimenti originali da lui condotti sulle modalità di percezione e di comunicazione di questi insetti. Con una serie di ricerche lo scienziato dimostra che nelle api è presente un trasferimento di informazione per mezzo di segni convenzionali. Come l’uomo, dunque, anche l’ape può essere definita un animale “simbolico”.

Le scoperte di von Frisch, premiate con il Nobel per la Medicina nel 1973, rappresentano una tappa fondamentale dell’elaborazione teorica della biologia. Le sue osservazioni si caratterizzano per la loro semplicità, dando la possibilità al lettore di comprendere facilmente il mondo delle api raccontato in questo saggio.elle risorse, ma anche per la ricerca di una nuova abitazione, fenomeno noto come “sciamatura”. Quando la popolazione di un alveare aumenta eccessivamente, circa metà della popolazione emigra al seguito della vecchia regina per lasciare il posto alla nuova.

L’aspetto affascinante in questo caso è che prima del “trasloco”, diverse api compiono danze differenti, offrendo sostanzialmente diverse proposte per una nuova dimora alle compagne. Con il tempo le danze tendono ad unificarsi, e la scelta finale si opera quando la quasi totalità delle api esploratrici compie lo stesso movimento.

Il tempo di ricerca e decisione si aggira fra i 6 ed i 14 giorni e a scegliere non è l’ape regina, bensì le api operaie: una monarchia forse meno assoluta di quanto non si sia portati a immaginare.


L’INTELLIGENZA DELLE API. COSA POSSIAMO IMPARARE DA LORO

di Randolf Menzel e Matthias Eckoldt

(Cortina Raffaello, 2017)

Randolf Menzel è una delle massime autorità in fatto di api. In questo libro, insieme con il filosofo Matthias Eckoldt, svela segreti e curiosità di questi preziosi insetti. Il libro si articola in sei capitoli che esaminano la sofisticata anatomia dell’ape, ma soprattutto del loro cervello. Amiamo le api perché producono il miele, ma sono anche fra gli animali più importanti e intelligenti del pianeta.

Il loro cervello pensa, pianifica, fa di conto e forse sogna. Come percepiscono i profumi e vedono i colori, come si forma la loro memoria, come apprendono regole e modelli, come riconoscono i volti, da dove derivano le loro conoscenze, che cosa sanno e come vengono prese le decisioni: Menzel ed Eckoldt raccontano le straordinarie capacità intellettive delle api attraverso le ricerche dello stesso Menzel e dei suoi collaboratori.


LA DEMOCRAZIA DELLE API

di Thomas D. Seeley

(Montaonda, 2017)

Thomas D. Seeley, professore di biologia alla Cornell University, Stato di New York, è una delle massime autorità nella ricerca sulle api e un appassionato apicoltore. In questo libro racconta ciò che avviene in uno sciame d’api subito dopo l’abbandono dell’arnia. Le api prendono le loro decisioni collettivamente e democraticamente. Ogni anno, alla fine della primavera, devono affrontare un problema cruciale: scegliere una nuova dimora, azione che mette in pericolo la sopravvivenza dell’intero alveare.

Lo sciame avvia un processo di ricerca, discussione e decisione che vede protagoniste centinaia di api esploratrici. Alla fine, grazie a un meraviglioso meccanismo naturale del tutto simile a quello usato da alcuni neuroni del nostro cervello, la scelta viene fatta, e quasi sempre è quella migliore. In questo libro troviamo la storia di una ricerca sull’intelligenza dello sciame, svolta da biologi e studiosi del comportamento animale, ma anche alcuni spunti su come noi esseri umani potremmo migliorare il nostro modo di discutere e decidere collettivamente.


L’ARTE DELLE API

di Renata Manganelli

(Astragalo, 2022)

Questo volume è un messaggio per sensibilizzare e informare l’opinione pubblica facendo luce sull’incredibile mondo delle api. Attraverso disegni e testi informativi, la scrittrice Renata Manganelli spiega ai lettori alcune delle pratiche quotidiane per contribuire alla protezione di questa specie. Il libro è anche un’ode alla biodiversità di cui le api hanno bisogno e che, senza di loro, noi non potremmo avere, e offre una visione di quanto i meccanismi della Natura siano concatenati e di come ogni ingranaggio sia fondamentale al funzionamento dell’intero sistema. Le illustrazioni, del laboratorio «L’Incontrario» di Pistoia, sono nate grazie a un progetto di integrazione lavorativa e inclusione sociale per ragazzi con disabilità.

Il ricavato della vendita supporta la campagna Greenpeace «Salviamo le api».