Con Web Garden siamo andati alla scoperta di un parco suggestivo e nascosto che racconta la storia di una antica famiglia e dell’amore della sua proprietaria, discendente della casata Solaro della Margarita.
Un giardino inaspettato che però sa di casa.
E’ il sorriso aperto, insieme ai modi cordiali ma informali, della contessa Lucia ad accoglierci all’ingresso del cortile del castello della Margarita, che da fuori sembra più che altro una villa. Una gran bella villa della seconda metà del 600 che cela il segreto di un romantico giardino di 30.000 mq.
Un giardino sorprendente, suddiviso in undici stanze una differente all’altra, che evoca romantiche storie d’amore – tra la formalità del giardino all’italiana – e amore incondizionato per la natura – attraverso spazi lasciati liberi di crescere, accuditi ma non costretti – in cui trovano dimora ricci, poiane, scoiattoli, picchi e ogni sorta di abitante di quelle zone.

La visita guidata dalla proprietaria che ha lasciato Torino per far rivivere l’antica dimora – è un crescendo di aneddoti sulla famiglia e sulla storia del castello, sul giardino di un tempo e sull’incessante lavoro che lei stessa, coadiuvata da alcune valide aiutanti, portano avanti per la cura del luogo della sua infanzia.
E dai suoi racconti traspare tutta la passione per il verde, per gli animali, per la natura in generale che qui viene aiutata a crescere non solo per l’oggettiva bellezza del luogo, ma anche semplicemente per se stessa.
E’ un giardino che si scopre un po’ per volta, che non si rivela tutto insieme alla vista; è stato pensato – ci spiega – per essere nascosto, una stanza dentro l’altra e ancora oggi conserva l’impianto originale progettato dal conte Piossasco di Rivalba allievo di Le Notre, il progettista dei giardini di Versailles.
Il primo spazio che ci accoglie, oltre l’elegante ingresso sui cui muri sono dipinti gli araldi e gli stemmi delle casate e dove la contessa giardiniera illustra il complicato albero genealogico della famiglia, è un cortile nel centro del quale una fontana costituita da un fonte battesimale del 1400 guarnita da una corona di hedera helix.

Alle spalle, dietro ad un ricco cancello con fregi dorati, la prima vera stanza del parco: un meraviglioso giardino all’italiana dove l’ars topiaria scolpisce antiche siepi di bosso sullo sfondo del bosco. Un bosco qui volutamente allontanato dall’abitazione per tenere lontani gli animali dalla casa, senza tuttavia impedire la spettacolare vista sulle montagne che si apre alla nostra sinistra.
Ma il resto del giardino è precluso alla vista. Per scoprirlo bisogna procedere in direzione della seconda stanza, il cosiddetto “giardin dle tote”, ovvero il “giadino delle ragazze”, un cabinet de verzure su cui si affaccia un’ala del castello, dai piani alti della quale Clemente Solaro controllava le figlie, senza essere visto. Qui, così vicino al castello che pare sorreggerlo, svetta un immenso e centenario cedro del libano, così grande che ci vogliono sei persone per abbracciarne il tronco; tutto sotto l’occhio vigile di un Taxus Bacchata coevo del cedro, entrambi di circa trecento anni.
Scendiamo di un livello attraverso una scala in pietra nascosta fra i bossi fino a raggiungere quello che un tempo era un teatro di verzura che ospitava, oltre alla buca dell’orchestra, anche un’ampia peschiera ormai coperta, oggi grande prato che costeggia un suggestivo canale irriguo del 1400.
Seguendo la passeggiata lungo il canale arriviamo nella seconda stanza, un vasto giardino all’inglese con vegetazione a basso fusto e fiori, per lo più bossi e hosta, insieme ad alberi di alto fusto come gli ippocastani che già regalano i primi frutti che la tradizione popolare vuole utili amuleti contro il raffreddore.
Qui ben si comprende come l’altra grande protagonista di questo giardino sia l’acqua; del resto la zona di Margarita un tempo era paludosa, per questo nota con il nome piemontese di “pra mars”, “prati marci” cioè zuppi di acqua.
Acqua che nel vasto giardino è stata addomesticata in forme diverse: il canale per l’irrigazione che offre scorci suggestivi, peschiere, fontane e un antico ninfeo alimentato da tre sorgenti cristalline.

In questo spazio un po’ segreto la contessa giardiniera, romantica e loquace, spiega con trasporto come il suo amato giardino sia luogo di storie d’amore talvolta insolite, come quella del vecchio carpino selvatico, nato e cresciuto in totale libertà, che abbraccia, appassionato, il muro del ninfeo, oppure quella fra una piccola sorgente e un albero: lei sgorga cristallina dai piedi del tronco dell’albero, dando vita ad un piccolo sottobosco privato di muschi e felci.
Seguendo la contessa e i suoi racconti di avi, alberi e animali, saliamo nel folto del bosco verso un’altra struggente storia d’amore: quella fra due aceri nati così vicini da sfregarsi fino a diventare uno solo.
Di stanza in stanza, di storia in storia, ci troviamo in un ampio spazio aperto, insospettabile fino a pochi metri prima, al cospetto di un altro gigantesco cedro in compagnia di una quindicina di arnie ad ulteriore testimonianza del concetto di giardinaggio della contessa giardiniera. Un giardinaggio libero rispettoso della vita nelle sue diverse forme, un giardinaggio che accompagna le piante nel loro sviluppo, che taglia solo quando è necessario e che vive di stupore e gratitudine ad ogni stagione.
Si succedono altri cabinet de verzure; in uno un tempo era ospitato un labirinto di carpini, in un altro ancora oggi c’è una suggestiva cappella di verzura, una piccola stanza verde racchiusa da siepi che ospita la statua in pietra di una madonnina a testimonianza di antiche devozioni e accorate suppliche.
Il percorso ci conduce quasi al punto di partenza, nuovamente nel giardino all’italiana ma con il controcampo visivo dell’ingresso che prima avevamo alle spalle e ci lascia ancora godere degli sorci sui monti.
La visita si conclude nella ghiacciaia del castello realizzata in quel che oggi resta della porzione più antica dell’edificio risalente al ‘500, già presente quando Antonio Solaro ottenne l’investitura dai Savoia e comprò queste terre. Si trova a lato del “giardin dle tote” dove dimora il grande cedro centenario che visto da qui sembra davvero che regga l’intera costruzione.
O forse è il contrario?
A chiudere la bella mattinata un aperitivo nel cortile principale e poi, per chiudere in bellezza, il pranzo tipico piemontese al ristorante Da Nona.
Galleria






