Questo articolo fa parte del numero 14 di Web Garden: Immaginare. Creare. Recuperare
Senza immaginazione non esisterebbe progresso. Senza una visione, l’uomo sarebbe ancora lì con la clava in mano.
Una celebre frase di Albert Einstein insegna che «l’immaginazione è più importante della conoscenza»: là dove «la conoscenza è limitata», l’immaginazione ha la potenza di «abbracciare il mondo». Ogni piccolo o immenso passo nella storia dell’umanità ha un minimo comun denominatore: quello di essere stato prima ideato. Così è la scienza – di cui Einstein ne capiva abbastanza – e, per estensione, la botanica.
Senza immaginazione non esisterebbe progresso. Senza una visione, l’uomo sarebbe ancora lì con la clava in mano (e provate pure a coltivare il vostro giardino, fisico o interiore, senza prima averlo immaginato: poi se ne riparla).
A riordinare il caos della creatività ci pensa la sapienza dell’uomo, con la speculazione filosofica, la letteratura e tutte quelle scienze umane che a prima vista appaiono così poco pragmatiche, e invece no. Il 4 novembre 1869, quando esce in Inghilterra il primo numero di «Nature», destinato a diventare una delle più importanti pubblicazioni scientifiche al mondo, la copertina del primo numero è affidata agli aforismi di J. W. Goethe, che a quel punto della Storia è già morto da un po’, ma di cui restano – immortali – gli scritti.
«Nature», la Bibbia della Scienza – da cui passa la scoperta dei raggi X, il buco dell’ozono, la struttura a doppia elica del Dna, la fissione nucleare, la tettonica a zolle, il genoma umano, la clonazione (occorre continuare?) – affida se stessa alle speculazioni di un filosofo e letterato, e contemporaneamente chiarisce la propria ragione d’essere («A Weekly Illustrate Journal of Science», «Settimanale di Scienza illustrato») rimettendosi alle parole del poeta britannico William Wordsworth: «To the solid Ground of Nature trusts the mind which builds for aye» / «Alla solida base della Natura si affida la mente che costruisce per sempre».

Poco meno di un anno fa, nel Magazine n. 5 di Web Garden, l’editoriale Il giardino, luogo segreto dell’animo indagava il legame indissolubile tra letteratura e scienze botaniche, raccontando di quegli scrittori che – per giocare con le parole di Virginia Woolf («Una stanza tutta per sé») – avevano avuto un giardino tutto per sé: Voltaire, Emily Dickinson, Stevenson, Victor Hugo, il poeta italiano Camillo Sbarbaro (così sublime, così dimenticato) e la stessa Woolf, che per anni curò con amore e intelligenza i fiori e le piante di Monk’s House, nell’East Sussex, dove il marito Leonard seppellì le sue ceneri sotto un olmo.
Sebbene la proprietà commutativa insegni che cambiando l’ordine degli addendi il risultato non cambia, con il Magazine n. 14, Web Garden ribalta la prospettiva: oggi è la Scienza a servirsi della letteratura e della filosofia per spiegare se stessa.
Ecco allora che «immaginare, creare, recuperare» non è solo un titolo accattivante per allettare alla lettura di qualche articolo, o per gustarsi i nostri bellissimi (e diciamolo!) video. È il percorso necessario del progresso e della scienza, perché – traslando la frase del filosofo tedesco-americano Herbert Marcuse («l’immaginazione al potere») – l’immaginazione HA il potere e, come insegna il postulato di Lavoisier, «nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma». Oggettività che fa del «recuperare» non più un’effimera moda di questo XXI secolo buonista e green, ma la legge fisica che fonda la meccanica classica; e di noi, i suoi umili – spesso ignari – debitori.