Stella Boglione, una contadina in riva al mare

Stella Boglione, una contadina in riva al mare

Questo articolo fa parte del numero 15 di Web Garden: Il linguaggio della Natura: le api.

Quando Stella e Marco Boglione decidono di mettere su famiglia è l’inizio del nuovo millennio, «il 1999 o giù di lì ». Il loro desiderio è una casa nel verde, magari sulla collina torinese, ma niente da fare. BasicNet, il gruppo industriale che Marco Boglione ha fondato appena quattro anni prima, ha bisogno del suo capitano. Il lavoro chiama.

Meglio vivere nella Foresteria sopra gli uffici e trasformare il tetto in un giardino. Stella, un pollice che più verde non si può e una tenacia da kamikaze (anche se è di origine cinese), realizza un primo orto urbano. In Italia non è ancora diffusa la moda green e, in Svezia, Greta porta ancora il pannolone. In tempi non sospetti, quando l’agricoltura domestica non è mainstream, Stella è una pioniera. Alle sei di mattina è avvistata sul roof garden con tuta e stivali di gomma (a marchio Superga, ça va…) a sradicare erbacce e piantare sementi.

Con l’orto arriva il pollaio, perché per Marco Boglione «il vero lusso è un uovo fresco al cucchiaio ogni mattina», e con il pollaio generazioni di pulcini che diventano galline e covano altre uova. Nel 2018 le prime tre arnie, e quindi il miele, dopo gli esperimenti con gli insetti antagonisti – che Stella utilizza su piante, fiori e verdure per evitare qualunque forma di guerra chimica ai parassiti – e una curiosa battaglia domestica per la «liberazione dei bonsai», trasformati in piante di notevoli dimensioni dentro vasi altrettanto imponenti.

Poi, la svolta: i Boglione acquistano l’isola sarda di Culuccia e Stella inizia ad amministrare l’omonima azienda agricola. La passione si trasforma in impresa, «anche se – assicura lei – più che imprenditrice sono una lavoratrice agricola. Per la maggior parte del tempo faccio la contadina. Non delego: amo tutto ciò che mi permette di stare in contatto con la natura, anche se devo alzarmi all’alba. D’altronde, la terra si bagna prima del sorgere del sole, oppure dopo il tramonto».

Mentre la intervisto al cellulare sulla sua lovestory con le api, lei attacca il viva-voce «perché sto pulendo 50 chili di bacche di ginepro con cui facciamo il gin». Nell’azienda agricola Culuccia, oltre al miele millefiori e a quello di melata, si producono ostriche, spumante Metodo Champenois e Vermentino Docg, e anche il più tradizionale tra i liquori sardi: il Mirto Bastianino, «dal nome del nostro primo asinello, che è un po’ la mascotte dell’isola».

Nell’azienda azienda agricola Culuccia, Stella Boglione produce miele millefiori, miele di melata, gin, mirto, vermentino Docg, spumante Metodo Champenois e ostriche

Nel resto della giornata a Stella non mancano altri impegni, compresa la parte burocratica di questo lavoro, «un aspetto che detesto, anche se capisco sia necessario».

Intanto sull’isola di Culuccia, nota anche come Isola delle Vacche (che peraltro stanno ritornando, selvatiche, ricominciando a riprodursi dopo anni di estinzione, ndr), è nato un Osservatorio naturalistico e un piano di turismo ecosostenibile che va consolidandosi di stagione in stagione, perché «il progetto Culuccia è creare prodotti di altissima qualità nel rispetto della Natura, oltre a rivalorizzare quest’isola dal punto di vista agricolo e turistico».

Non è raro, d’estate, vedere Stella Boglione dietro il bancone del bar Macchiamala, sull’omonima spiaggia, nei panni di cuoca-cameriera-barista. Anche se il suo più evidente successo è un vermentino che nasce – letteralmente – dal mare.

Racconta Stella: «Dal 1923 al 1996 l’unico abitante dell’isola di Culuccia fu Angelo Sanna, conosciuto come “Zio Agnuleddu”, che venne a viverci dopo aver lasciato l’ufficio postale di Santa Teresa di Gallura. Solo come un eremita, senza acqua corrente né elettricità, con l’unica compagnia di un cane e una cavalla, allevava maiali, capretti e mucche».

Negli anni Cinquanta, “Zio Agnuleddu” piantò la Vigna della Puntata (sulla punta dell’isola, ndr) con vitigni autoctoni galluresi «che abbiamo ripreso tre anni fa». Nella prima vendemmia, il 1° settembre dell’anno scorso, sono stati raccolti poco più di 2mila chili «600 dei quali sono stati messi a riposare in mare, come facevano gli Antichi Greci». Poco dopo, con l’enologo Andrea Pala (Miglior Giovane Enologo italiano 2021, ndr) Stella ha prodotto il vermentino Donna Ma’, dal nome della figlia Maria, che ha già vinto diversi premi. E, contemporaneamente, il Donna Ste’, che ha subito meritato il Docg.

Questo è accaduto, in poco più di 20 anni, alla donna che da ragazza organizzava eventi per l’Ambrosetti, che da bambina «volevo fare l’agente segreto come Nikita» e che «se tornassi indietro forse farei Medicina». Tutto attraverso un processo «molto lento e inatteso, per quanto piacevole», perché «una delle fortune più grandi è trasformare una passione nel lavoro della vita».

BASTIANINO L’asino Bastianino, mascotte dell’isola sarda di Culuccia, che dà il nome al mirto prodotto da Stella Boglione
Intervista a Stella Boglione: “E dire che ho paura delle api”

Intervista a Stella Boglione: “E dire che ho paura delle api”

Questo articolo fa parte del numero 15 di Web Garden: Il linguaggio della Natura: le api.

La lovestory tra Stella Boglione e le api inizia su un tetto: l’ex lastrico solare di una storica azienda tessile torinese – il MCT, fondato nel 1916 – che oggi è il quartier generale di BasicNet, gruppo industriale quotato in Borsa e proprietario dei marchi Kappa, Robe di Kappa, Jesus Jeans, K-Way, Superga, Briko e Sebago.

In questa ex fabbrica che oggi si chiama BasicVillage, dove abita assieme al marito Marco, fondatore del Gruppo, nell’aprile 2018 arrivano tre arnie urbane, «i miei primi passi da apicultrice». Poche rispetto alle 140 che si trovano sull’isola sarda di Culuccia, acquistata dai Boglione nel 2017 e sede dell’omonima azienda agricola di cui Stella è amministratore.

Perché tre arnie?

«Tre è il numero minimo consigliabile con cui iniziare l’avventura delle api, perché l’apicultore può intervenire aiutando l’eventuale arnia più debole con quella più forte. Se in un’arnia, ad esempio, viene a mancare la regina, si possono prendere le covate dalle arnie più robuste che aiutano la sopravvivenza di quella più fragile».

Come nasce la sua passione per le api?

«Intanto va detto che – ironia della sorte – io ho paura delle api, come di qualunque altro insetto che abbia un volo irregolare e non prevedibile, anche se è una paura infondata: le api sono creature docili e pungono solo se minacciate. È iniziata per sfida. Lo stesso meccanismo che mi spinge a percorrere un ponte tibetano nonostante io soffra di vertigini».

Tra tante sfide, perché proprio le api?

«Un amico di mio marito, che abita in collina, quando è andato in pensione ha iniziato a lavorare con le api. Ogni volta che veniva a trovarci mi portava un barattolo di miele. Così, un giorno, ho pensato: quasi quasi…».

Ho letto che l’alveare è un super-organismo. Approfondiamo?

«Un super-organismo è un miracolo di intelligenza che, misteriosamente, è privo di “testa”. È una “civiltà” senza coscienza e ragione: solo puro, millenario istinto. Pur essendo composto da numerosi individui, opera come un organismo unico. Ciascuno, fin dalla nascita, sa esattamente che cosa fare e lo fa con precisione millimetrica. Ognuno ha un compito definito, nulla è lasciato al caso, perché le api sono insetti “eusociali”: se fossero essere umani, potremmo dire che hanno più a cuore il bene comune di quello individuale. Sono un meccanismo perfetto che si muove come un tutt’uno».

Che cosa insegna l’universo delle api?

«A lavorare duro. Osservando un alveare si comprende il senso dell’organizzazione, il sacrificio del singolo per la collettività, la meticolosità e la dedizione nello svolgere il proprio compito. S’impara a non essere pressapochisti, perché dal ruolo di ciascuno dipende la sorte dell’intero alveare. Queste cose le api le sanno senza che nessuno gliele insegni: è un imprinting antichissimo. Nel loro aspetto attuale, esistono sulla Terra da 4 milioni di anni».

Le 140 arnie posizionate da Stella Boglione sull’isola sarda di Culuccia

Com’è la sua vita da apicultrice?

«Il mondo delle api è per me una magia. Mi capita di rimanere incantata a osservare le bottinatrici, capaci di “visitare” fino a 2mila fiori al giorno. Oppure a emozionarmi per la nascita di una nuova operaia. Ho ancora i brividi al ricordo della prima volta in cui sono riuscita a distinguere, in mezzo al ronzio dell’alveare, il canto della regina vergine».

Passando ad argomenti più prosaici, quanto miele produce ogni anno?

«A Torino, 30 chili per arnia. In Sardegna, dove la stagione è più breve e siccitosa, si arriva a 10 chili. Va però detto che io faccio apicultura stanziale: non rincorro le fioriture spostando le arnie. Con il nomadismo si produce molto più miele».

Di che qualità parliamo?

«Ogni anno è una scommessa: tutto dipende dalle temperature e dalle piogge. A Torino, l’anno scorso l’apiario urbano non aveva prodotto l’acacia perché le forti piogge ne avevano rovinato la fioritura. Quest’anno, invece, lo stesso apiario ha prodotto l’acacia e anche un ottimo millefiori con punta di tiglio. L’apiario sardo, l’anno scorso ha prodotto ad aprile un millefiori con punta di lavanda, a metà stagione un millefiori con punta di cardo e, alla fine, la melata. Quest’anno a Culuccia, vista la grande siccità, la melata è arrivata prima».

I profani pensano che la melata c’entri con le mele: invece si tratta di un miele particolare, raffinatissimo, che oltre a essere delizioso ha anche proprietà antisettiche, antibatteriche e rafforza memoria e concentrazione. Ci racconta?

«La melata è una sostanza zuccherina secreta da piccoli insetti che si nutrono della linfa degli alberi. Dalla linfa, gli insetti eliminano l’acqua e gli zuccheri in eccesso, dando vita a un nutrimento ricco di sali minerali. Una volta raccolta questa sostanza preziosa, le api la introducono nell’alveare e la trasformano in miele».

Oltre al miele, che cos’altro è prodotto nelle arnie?

«Cera, naturalmente. E poi polline, propoli e la pappa reale, che però io non faccio ancora».

È vero che è la pappa reale a trasformare un’ape in regina?

«Le api sono di due tipi: o maschio o femmina. Il maschio, il cosiddetto fuco, nasce da un uovo non fecondato; l’ape operaia da un uovo fecondato. La differenza tra l’ape operaia e la regina è il nutrimento, che nella cella reale è la pappa reale, mentre nelle altre celle è un “cibo” meno nutriente. Quando le uova sono depositate nelle celle, le ceraiole le chiudono con un velo di cera. Poi la larva si sviluppa e, rompendo l’opercolo, sfarfalla l’ape».

Che cosa consiglia un giovane che vuole diventare apicultore?

«Dedizione, pazienza e tanto spirito di sacrificio, come del resto per qualunque altro mestiere».

Chiudiamo con un giochino alla Proust: se fosse un’ape, quale ape sarebbe?

«Un’operaia. Benché abbia una vita brevissima, tra le 4 e le 6 settimane, ricopre ogni ruolo. Quando nasce fa la pulitrice per due giorni, poi passa ad altre mansioni: nutrice, cortigiana, ceraiola, immagazzinatrice, guardiana, ventilatrice. Infine diventa bottinatrice. Una vita breve e faticosa, però intensa».

Le prime tre arnie di Stella Boglione sul roof garden del Basic Village di Torino

Regina no?

«Nonostante il mito della regina, e il fatto che viva più a lungo, per me è una schiava del sistema: se non svolge correttamente il proprio compito, quel super-organismo che è l’alveare la elimina e la sostituisce. Entro i primi 20 giorni di vita deve fare il volo nuziale, durante il quale si accoppia con un discreto numero di fuchi. Trattiene il seme all’interno di un organo raccoglitore, la spermateca, quindi va di cella in cella a deporre le uova, scegliendo se fecondarle o no secondo la grandezza delle celle».

E il fuco?

«Serve solo a fecondare la regina, non ha nemmeno il pungiglione. Muore subito dopo l’accoppiamento e, se non riesce nel suo compito, torna nell’arnia e ci resta per il resto della stagione. Infine, vivo o morto, viene buttato fuori».

Apiari integrati: uno “zzzz” che insegna e guarisce

Apiari integrati: uno “zzzz” che insegna e guarisce

Questo articolo fa parte del numero 15 di Web Garden: Il linguaggio della Natura: le api.

Per le api, il 2017 è stato un anno cruciale: l’Onu ha istituito una Giornata Mondiale dedicata a questi preziosissimi insetti, che si celebra ogni 20 maggio e riconosce la loro importanza strategica per il nostro ecosistema.

Dopo non poche alzate di scudi, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha stabilito che le api sono a gravissimo rischio estinzione a causa di molteplici fattori, tra cui l’eccessiva urbanizzazione a discapito del loro habitat naturale, l’inquinamento ambientale e l’uso fuori controllo dei pesticidi. Secondo gli esperti, le ripercussioni di un mondo senza api sarebbero così gravi da stravolgere il volto della Natura e del nostro stesso Pianeta.

Da quella storica Assemblea, gli interventi per la sensibilizzazione e la salvaguardia delle api si sono moltiplicati, in nome della tutela della biodiversità di flora, fauna e di tutti quegli ecosistemi – non pochi – che soffrirebbero per la loro scomparsa. Così sono nati gli apiari integrati, concetto inizialmente ostico ai più, che esprime null’altro se non un nuovo, moderno e rispettoso concetto di apicoltura e api-cultura. Il primo apiario integrato d’Italia è nato a Marostica, in provincia di Vicenza, sulle colline di San Luca. Qui, Andrea Dal Zotto ha realizzato un’area protetta dove è possibile studiare, osservare e – in definitiva – imparare a rispettare le api e il loro universo.

L’apiario ingrato è composto da una struttura in legno cui vengono collegate, esternamente, le arnie destinate alla produzione del miele, a loro volta modificate per permettere ai profumi provenienti dagli alveari di saturare l’aria sia interna sia esterna. I benefici sono numerosi e interessanti. L’apiario integrato consente, ad esempio, di coniugare l’apicoltura con la pratica dell’api-aroma, speciale trattamento di
aromaterapia, e con quella dell’api-sound: là dove ascoltare il suono delle api è molto più che sentire un banale “zzzz”.

Sempre più studi hanno dimostrato che respirare l’aria di un alveare rafforza il sistema immunitario. Che sia merito delle resine o degli olii essenziali sprigionati dalla cera, del propoli o dello stesso miele, una serie di respiri profondi in compagnia delle api solleva lo spirito e fortifica il corpo. Questo tipo di aromaterapia ha un’azione curativa e benefica sull’apparato respiratorio e combatte le infiammazioni e i mali di stagione – quanto meno attenuandoli in maniera significativa. Non meno importante è l’api-sound, aiuto prezioso contro lo stress. Il ronzio delle api, con la sua frequenza di 432Hz, è perfetto per la meditazione e per le pratiche di rilassamento.

L’apiario integrato svolge così molteplici funzioni, sia didattiche sia curative. E, dal 2017 a oggi, sono nati numerosi progetti e altrettanto numerosi apiari. Uno tra gli ultimi a essere inaugurato è il Wonder Bee di Grottole, piccolo comune vicino a Matera (Basilicata), ideato nel 2020 su progetto dall’apicoltore Rocco Filomeno assieme a Davide Tagliabue e Carlo Roccafiorito. L’idea era creare un modello riproducile in scala, in modo da diventare una risorsa per l’intero territorio. Una missione felicemente compiuta, assieme all’obiettivo di fare conoscere alle persone – ma soprattutto ai bambini – le api, il loro mondo meraviglioso e l’importanza sostanziale che hanno per
l’ecosistema.

Lo scrittore Mario Rigoni Stern scriveva che «le api sono un insieme e non individui»: per loro è impossibile sopravvivere fuori dalla comunità. Ciascuno di questi incredibili insetti conosce la propria ragione d’essere e adempie ai propri doveri istintivamente, senza che nessuno glielo insegni, imponga o solleciti.

L’ape regina ha il solo compito di deporre le uova per garantire la longevità della famiglia, ed è così solerte da depositarne tra le 2 e le 3mila al giorno. I fuchi non devono far altro che fecondare la regina. Le api operaie, nomen omen, assolvono a tutte le altre mansioni: ci sono le api che puliscono le cellette; le api ceraiole che costruiscono e manutengono i favi di cera; le api becchine che eliminano dall’alveare le api
morte; le api guardiane, sentinelle formidabili nate per sorvegliare che nessuno entri nell’alveare.

C’è poi l’ape impollinatrice, la più importante tra tutte, che ha un ruolo fondamentale per garantire e mantenere la biodiversità della flora, e di conseguenza di tutti gli esseri viventi. Volando di fiore in fiore, su specie differenti di piante spontanee e d’interesse agricolo, si sporca il corpo e le zampette di polline, per poi trasportarlo su altri fiori permettendone la riproduzione. Così, se oggi l’incredibile e organizzato universo delle api non è più un mondo conosciuto soltanto da entomologhi, apicoltori e addetti ai lavori, un grazie va anche agli apiari integrati, che stanno avvicinando tantissime persone al loro piccolo, grande, imprescindibile “zzzz”.

L’universo delle api in quattro libri

L’universo delle api in quattro libri

Questo articolo fa parte del numero 15 di Web Garden: Il linguaggio della Natura: le api.

Per molti le api sono solo piccoli insetti che volano di fiore in fiore e producono miele. In realtà, da questa specie dipende il futuro del Pianeta e la salvaguardia della biodiversità. Che cosa succederebbe se le api scomparissero. Perché le api sono così importanti per la vita? E che cosa possiamo fare per preservarle? Quattro libri esplorano queste domande, fornendo alcune risposte per un futuro più sostenibile e rispettoso della Natura.

Oggi le api sono diventate mainstream. Se fino a pochi anni fa erano soltanto insetti che producevano miele, e da cui i bambini dovevano girare alla larga, da qualche tempo “api” è una parola da salotto e da dibattito TV: termometro dei cambiamenti climatici e della prepotenza dell’uomo, che pretende di governare la Natura utilizzando indiscriminatamente pesticidi e prodotti ben poco “green”.

Tutti, per sentito dire, ormai sanno che l’estinzione delle api sarebbe una catastrofe per il Pianeta. Ma come? E perché? E che cosa conosciamo davvero di questo universo così poliedrico e perfettamente organizzato?  Certo, le api sono importanti. La maggior parte del cibo che mangiamo cresce grazie alla loro opera quotidiana di impollinazione. Mele, pere, agrumi, zucchine, carote e cavoli sono solo alcuni degli alimenti che non esisterebbero senza le api. Ma non solo.

Questi insetti sono fondamentali per l’ambiente: la riproduzione e la diffusione di quasi il 90% delle specie vegetali spontanee e selvatiche dipende dalla loro opera di impollinazione. Ecco, allora, quattro libri per meglio comprendere come l’impatto di questi piccoli insetti sia fondamentale per la terra (e per la Terra), per la biodiversità e per la salvaguardia degli ecosistemi.


IL LINGUAGGIO DELLE API

di Karl von Frisch

(Bollati Boringhieri, 2012)

Il linguaggio delle api è il libro più importante dello scienziato austriaco Karl von Frisch, nel quale vengono illustrati gli esperimenti originali da lui condotti sulle modalità di percezione e di comunicazione di questi insetti. Con una serie di ricerche lo scienziato dimostra che nelle api è presente un trasferimento di informazione per mezzo di segni convenzionali. Come l’uomo, dunque, anche l’ape può essere definita un animale “simbolico”.

Le scoperte di von Frisch, premiate con il Nobel per la Medicina nel 1973, rappresentano una tappa fondamentale dell’elaborazione teorica della biologia. Le sue osservazioni si caratterizzano per la loro semplicità, dando la possibilità al lettore di comprendere facilmente il mondo delle api raccontato in questo saggio.elle risorse, ma anche per la ricerca di una nuova abitazione, fenomeno noto come “sciamatura”. Quando la popolazione di un alveare aumenta eccessivamente, circa metà della popolazione emigra al seguito della vecchia regina per lasciare il posto alla nuova.

L’aspetto affascinante in questo caso è che prima del “trasloco”, diverse api compiono danze differenti, offrendo sostanzialmente diverse proposte per una nuova dimora alle compagne. Con il tempo le danze tendono ad unificarsi, e la scelta finale si opera quando la quasi totalità delle api esploratrici compie lo stesso movimento.

Il tempo di ricerca e decisione si aggira fra i 6 ed i 14 giorni e a scegliere non è l’ape regina, bensì le api operaie: una monarchia forse meno assoluta di quanto non si sia portati a immaginare.


L’INTELLIGENZA DELLE API. COSA POSSIAMO IMPARARE DA LORO

di Randolf Menzel e Matthias Eckoldt

(Cortina Raffaello, 2017)

Randolf Menzel è una delle massime autorità in fatto di api. In questo libro, insieme con il filosofo Matthias Eckoldt, svela segreti e curiosità di questi preziosi insetti. Il libro si articola in sei capitoli che esaminano la sofisticata anatomia dell’ape, ma soprattutto del loro cervello. Amiamo le api perché producono il miele, ma sono anche fra gli animali più importanti e intelligenti del pianeta.

Il loro cervello pensa, pianifica, fa di conto e forse sogna. Come percepiscono i profumi e vedono i colori, come si forma la loro memoria, come apprendono regole e modelli, come riconoscono i volti, da dove derivano le loro conoscenze, che cosa sanno e come vengono prese le decisioni: Menzel ed Eckoldt raccontano le straordinarie capacità intellettive delle api attraverso le ricerche dello stesso Menzel e dei suoi collaboratori.


LA DEMOCRAZIA DELLE API

di Thomas D. Seeley

(Montaonda, 2017)

Thomas D. Seeley, professore di biologia alla Cornell University, Stato di New York, è una delle massime autorità nella ricerca sulle api e un appassionato apicoltore. In questo libro racconta ciò che avviene in uno sciame d’api subito dopo l’abbandono dell’arnia. Le api prendono le loro decisioni collettivamente e democraticamente. Ogni anno, alla fine della primavera, devono affrontare un problema cruciale: scegliere una nuova dimora, azione che mette in pericolo la sopravvivenza dell’intero alveare.

Lo sciame avvia un processo di ricerca, discussione e decisione che vede protagoniste centinaia di api esploratrici. Alla fine, grazie a un meraviglioso meccanismo naturale del tutto simile a quello usato da alcuni neuroni del nostro cervello, la scelta viene fatta, e quasi sempre è quella migliore. In questo libro troviamo la storia di una ricerca sull’intelligenza dello sciame, svolta da biologi e studiosi del comportamento animale, ma anche alcuni spunti su come noi esseri umani potremmo migliorare il nostro modo di discutere e decidere collettivamente.


L’ARTE DELLE API

di Renata Manganelli

(Astragalo, 2022)

Questo volume è un messaggio per sensibilizzare e informare l’opinione pubblica facendo luce sull’incredibile mondo delle api. Attraverso disegni e testi informativi, la scrittrice Renata Manganelli spiega ai lettori alcune delle pratiche quotidiane per contribuire alla protezione di questa specie. Il libro è anche un’ode alla biodiversità di cui le api hanno bisogno e che, senza di loro, noi non potremmo avere, e offre una visione di quanto i meccanismi della Natura siano concatenati e di come ogni ingranaggio sia fondamentale al funzionamento dell’intero sistema. Le illustrazioni, del laboratorio «L’Incontrario» di Pistoia, sono nate grazie a un progetto di integrazione lavorativa e inclusione sociale per ragazzi con disabilità.

Il ricavato della vendita supporta la campagna Greenpeace «Salviamo le api».

La danza delle api

La danza delle api

Questo articolo fa parte del numero 15 di Web Garden: Il linguaggio della Natura: le api.

Uomo e Natura: un rapporto interdipendente e simbiotico, in cui l’essere umano è da un lato oggetto della relazione, e dall’altro soggetto che si astrae per studiare ed osservare questo cosmo di cui è egli stesso partecipe, come se potesse godere di un punto di vista privilegiato che non lo richiami sempre in causa.

Dagli albori del suo percorso su questa terra, l’uomo si interroga sul funzionamento di ciò che lo circonda, sui suoi ritmi e sul suo linguaggio per ragioni sia mistiche, ossia per comprendere il proprio posto all’interno di questo incredibile spettacolo, che per ragioni pratiche: per dominarlo, controllarlo, ed oggi anche per proteggerlo e preservarlo.

Dai filosofi della scuola di Mileto fino agli studi scientifici più recenti, è divenuto sempre più chiaro che ogni elemento che compone la Natura ha una sua funzione, un suo ritmo perfetto, un suo linguaggio specifico, complesso ed assolutamente necessario alla sopravvivenza non solo del singolo, ma di tutto l’insieme: come tessere di un puzzle, ognuna delle quali è indispensabile a completare l’opera.

Esempio lampante dell’interconnessione fra uomo e ambiente, ed oggi tristemente presente all’attenzione pubblica per la precarietà della sua sopravvivenza, è il complesso e meraviglioso mondo delle api. Necessarie a garantire attraverso l’impollinazione non solo la biodiversità, ma l’esistenza stessa della natura che ci circonda e quindi la nostra sussistenza, le api operano fra di loro secondo un vero e proprio linguaggio incredibilmente sofisticato ed evoluto, che ne evidenzia l’elevata socialità e la precisa collaborazione di ogni elemento.

Lo studio di questi insetti è affascinante, ed un importante contributo in materia proviene dallo zoologo austriaco Karl Von Frish, le cui ricerche sono raccolte nella celebre opera “Il Linguaggio delle Api”, ed i cui risultati sono stati riconosciuti dal conferimento del premio Nobel nel 1973. 

L’alveare è un microcosmo indipendente e compiuto, dove ogni singola funzione è precisamente distribuita e dove si è sviluppato un sistema di comunicazione che si è in buona parte riusciti a decodificare, mostrandoci ancora una volta la perfezione del creato. Affinchè la comunità sopravviva, le api parlano fra di loro attraverso diversi espedienti, uno dei quali è la danza.

Una delle funzioni dell’ape operaia è quella di procacciare il cibo. Le api dette esploratrici lasciano l’alveare per perlustrare la zona in cerca di nutrimento, per poi tornare all’alveare e comunicare alle api bottinatrici, le quali sono effettivamente designate alla raccolta, dove potranno rifornirsi.

A questo punto, le api esploratrici compiono una danza i cui movimenti indicano con grande precisione la distanza che le bottinatrici dovranno percorrere per trovare il cibo. Se questo si trova ad una distanza inferiore agli ottanta metri, l’ape eseguirà una danza circolare e l’odore dei fiori che resta sul loro corpo fornirà ulteriori indicazioni per arrivare alla meta indicata. Quando invece la distanza fra l’alveare ed il cibo è superiore, la danza diventerà “scodinzolante”, definita “dell’addome”.

Le api formeranno una sorta di otto, ed il loro ritmo servirà a fornire precise indicazioni stradali: quanto più sarà lento tanto maggiore sarà la distanza da percorrere. Api diverse utilizzano parametri di distanza diversi, ma la modalità di espressione è la medesima. 

I movimenti delle api “ballerine” indicano anche la direzione da intraprendere, utilizzando il sole come punto di riferimento. Se la danza sarà rivolta verso l’alto, i fiori da ricercare saranno in direzione del sole, se è rivolta in basso, le bottinatrici si dirigeranno invece dalla parte opposta, ed una danza orientata ad un certo numero specifico di gradi rispetto al sole di nuovo rifletterà lo stesso orientamento del cibo.

Un recente studio dell’Università del Minnesota ha codificato 1.528 movimenti diversi che le api compiono in questa danza, ognuno dei quali costituisce un’informazione utile per la raccolta di cibo. Hanno anche rilevato che ogni secondo in cui l’ape si sposta in linea retta durante la danza, equivale a circa 750 metri di distanza. 

Di recente è stato scoperto che la danza non è utilizzata solo nel procacciamento delle risorse, ma anche per la ricerca di una nuova abitazione, fenomeno noto come “sciamatura”. Quando la popolazione di un alveare aumenta eccessivamente, circa metà della popolazione emigra al seguito della vecchia regina per lasciare il posto alla nuova.

L’aspetto affascinante in questo caso è che prima del “trasloco”, diverse api compiono danze differenti, offrendo sostanzialmente diverse proposte per una nuova dimora alle compagne. Con il tempo le danze tendono ad unificarsi, e la scelta finale si opera quando la quasi totalità delle api esploratrici compie lo stesso movimento.

Il tempo di ricerca e decisione si aggira fra i 6 ed i 14 giorni e a scegliere non è l’ape regina, bensì le api operaie: una monarchia forse meno assoluta di quanto non si sia portati a immaginare.