Api, sentinelle dell’ambiente: l’intervista a Francesco Collura

Api, sentinelle dell’ambiente: l’intervista a Francesco Collura

Questo articolo fa parte del numero 16 di Web Garden: Il linguaggio della Natura: le api.

Web Garden ha avuto l’opportunità di intervistare Francesco Collura che, oltre ad essere un esperto apicoltore, è anche membro del Consiglio direttivo dell’Associazione Italiana Apiterapia, che studia oltre alle proprietà del miele per il benessere della persona, la possibilità di utilizzare le api per monitorare la qualità dell’ambiente.

Web Garden: Francesco come ha avuto inizio questa sua avventura ?

Francesco Collura: Fin da bambino ero affascinato dal mondo delle api. Il mio primo apiario lo realizzai a vent’anni ma solo 8 anni fa decisi di ricominciare da capo con la mia vita, trasformando una passione in un mestiere.

All’epoca lavoravo come funzionario di banca mi dimisi e aprii una azienda apistica a Cocconato d’Asti.

Tuttavia Lei non si limita a produrre e a vendere miele, vero ?

Essendo membro del Consiglio direttivo dell’Associazione Apiterapia tengo numerosi corsi sulle proprietà benefiche che hanno i prodotti dell’alveare per il benessere della persona con il supporto del dottor Aristide Colonna medico chirurgo e presidente dell’Associazione che ha lo scopo di sviluppare ricerche scientifiche. Il mio contributo è principalmente quello di esperto apistico.

Oltre che al miele la mia attenzione si è orientata soprattutto allo studio del biomonitoraggio ambientale.

Come ha avuto inizio questo studio?

Quasi per caso devo dire.

Deve sapere che a Cocconato d’Asti esiste una storica cava di gesso denominata Gesso Nosei . La cava è gestita da Saint-Gobain Italia, azienda del gruppo francese Saint-Gobain da sempre attento all’ambiente e specializzata nell’estrazione di gesso e nella produzione di cartongesso e intonaci speciali per il green building.

La cava di Gesso , certificata ambiente ISO 14001, esegue continui monitoraggi sugli indicatori ambientali.

Nel 2015 mi chiamò l’allora direttore per iniziare una collaborazione di sperimentazione su un nuovo metodo di rilevazione delle polveri diffuse, al fine di monitorare e analizzare la concentrazione dei solfati nell’ambiente all’esterno del perimetro dell’area. Il mio metodo di sperimentazione ha consentito alla società di dimostrare che la cava non produce effetti contrari alla salute anzi è un valore aggiunto per il territorio.

Quindi le api di Cocconato misurano le polveri diffuse nell’aria delle cave?

Assolutamente si, ma non solo Infatti, attuare un progetto di biomonitoraggio significa cercare di fornire una descrizione del luogo scelto dal punto di vista dei possibili agenti inquinanti. Il biomonitoraggio può essere eseguito partendo da matrici diverse e la ricerca può allargarsi a tutta una serie di inquinanti.

Possiamo dunque concludere che le api sono ottimi rilevatori ecologici.
Sono proprio le realtà industriali  ad essere maggiormente interessate a questo tipo di monitoraggio: le api ci possono dire se le politiche ambientali, che ormai sempre più aziende mettono in atto sono efficaci, osservando lo stato di benessere delle api, la qualità dei prodotti dell’alveare e l’eventuale presenza di inquinanti.

È stato complicato creare un progetto dì biomonitoraggio?

Inizialmente ho dovuto studiare chimica e tutto quello che è stato pubblicato da diversi ricercatori sull’argomento. Poi dopo avere preso contatto con diversi Atenei , ho infine creato un mio protocollo di biomonitoraggio ambientale che ha ottenuto la validazione scientifica dell’Università degli studi di Torino, Dipartimenti di Scienze Agrarie, Forestali e Alimentari DISAFA di Grugliasco grazie soprattutto al prezioso contributo del professor Marco Porporato del dipartimento DISAFA.

Qual è la sua ambizione?

Quella di creare una società specializzata nel biomonitoraggio ambientale con strumenti alternativi ai classici di monitoraggio.  Proporre questo strumento a tutte quelle società che attente all’ambiente lo vogliono comunicare al territorio con un linguaggio semplice e alternativo. Le Api usano un linguaggio universale comprensibile a chiunque.

Oggi gestisco sette progetti di bio monitoraggio per grandi aziende. Il mio è un progetto soprattutto di comunicazione ma supportato da evidenze scientifiche e con un protocollo validato.

Mi spiego meglio. Le aziende hanno tutto l’interesse a dimostrare che usano tutte le accortezze per tutelare l’ambiente ma a volte diventa difficile comunicarlo al territorio e alla cittadinanza. Quale metodo migliore che utilizzare a tale fine le api che come detto usano un linguaggio comprensibile a tutti “Ubi Apis Ibi Salus” dove le api lì la salute diceva Plinio il Vecchio già 2000 anni fa. Se si pensa che un solo chilo di miele è composto da oltre 10 milioni di micro prelievi, quella goccia di miele che viene analizzata, risulta veramente rappresentativa del territorio circostante la stazione di biomonitoraggio e di conseguenza si riesce ad avere un resoconto preciso dello stato di salute dell’ambiente.

Le api di un alveare infatti coprono 7-8 kmq e al giorno possono effettuare migliaia di viaggi toccando milioni di fiori. La capillarità e il raggio di azione delle api sono tali che nessun altro strumento di analisi del territorio è minimamente confrontabile.

Le matrici che possono essere usate oltre al miele sono il polline, la propoli, il pane d’api e le api stesse che con il loro corpo peloso trattengono elementi poi analizzabili. Tramite l’analisi di queste matrici è possibile scoprire la presenza nell’ambiente di metalli pesanti, di pesticidi, di radionuclidi ecc. ma soprattutto la loro non presenza consente di dimostrare l’attenzione che una azienda ha per il territorio e l’ambiente.

Api in alta quota

Api in alta quota

Questo articolo fa parte del numero 16 di Web Garden: Il linguaggio della Natura: le api.

Tra le 20mila specie di api che ronzano sulla Terra, la più diffusa si è formata sopravvivendo alle glaciazioni. Si chiama Apis mellifera ligustica, meglio conosciuta come “ape italiana”: quella che vediamo in primavera e in estate mentre passa di fiore in fiore per catturare nettare e polline. Nonostante questa immagine bucolica di petali, pistilli e prati colorati, alle api il caldo piace pochissimo. Lo sanno bene gli apicoltori, che in estate spostano le arnie in zone riparate dal sole, mentre le api ventilatrici si danno un gran daffare sbattendo freneticamente le ali – due paia ciascuna – per rinfrescare l’alveare. 

A differenza di quanto credono i più, le api italiane stanno benissimo nelle regioni fredde e nelle zone montane. In inverno, quando le arnie sono coperte di neve, gli alveari respirano perché la neve è permeabile: all’interno non si forma un eccesso di anidride carbonica né di umidità. Basta che le famiglie siano forti e abbiano una scorta sufficiente di mieli e sciroppi. 

Un vecchio manuale americano (L’ape e l’arnia; 1921) mostrava immagini di un esperimento estremo: famiglie di api sopravvissute in piena salute a un inverno in cui le temperature erano arrivate a -30 gradi e il vento a 27 chilometri l’ora. E, nel suo Bee Behavior (1980), il celebre apicoltore statunitense Stephen Taber (1924-2008) spiegava le tecniche di conduzione degli alveari dalla Svezia al Canada, garantendo la possibilità di fare apicoltura produttiva anche dove il clima è freddo e la stagione del raccolto breve. 

All’inizio degli Anni Duemila, l’apicoltore finlandese Pekka Tuomanen riusciva a produrre in soli 2 mesi tra gli 80 e i 100 kg per alveare. Un record di maestria: e tutto con l’ape italiana.

Benché nell’ultima grande glaciazione le pianure non esistessero, spesso chi vive di apicoltura preferisce le regioni pianeggianti. È una condizione climatica che allontana l’Apis mellifera ligustica dal suo habitat naturale, ignorandone la millenaria memoria generica. Come direbbe Nanni Moretti, «continuiamo così, facciamoci del male»: perché – scrive Gabriele Milli nel visitatissimo blog apicolturaonline.it – andando avanti con questo sistema «si impoverisce irrimediabilmente l’Apis mellifera ligustica di una caratteristiche fondamentale: la sua estrema adattabilità». 

Slow Food, che di biodiversità ne capisce, nel 2012 ha avviato il Presidio dell’ape nativa della Sierra Norte di Puebla (Messico). Qui, a un’altitudine media di 1.825 metri, vive una razza speciale di ape senza pungiglione, che gli indigeni chiamano Pisilnekmej (nome scientifico: Scaptotrigona Mexicana), allevata in arnie composte da due vasi di terracotta da cui si ricava un miele speziato e piccante al naso, con note di agrumi in bocca, usato come alimento o come medicinale. 

Più vicino a noi, se Germania e Austria hanno una lunga tradizione di mieli di montagna, l’Italia non è da meno. Gli apiari in quota sono numerosi sugli Appennini del Centro-Nord (700-1.000 metri), sulle Prealpi Lombarde, dove si produce un ottimo miele d’acacia (già di per sé piuttosto redditizio), in Trentino e in Alto Adige, dove il miele è superlativo: quello sudtirolese di Imkerei Hieslerhof, ad Avelengo (tra i 1.290 e i 1.600 metri in provincia di Bolzano), nel 2016 è stato premiato con l’oro dall’Associazione apicoltori. 

Tra i migliori prodotti italiani, selezionati dal 1981 dall’Osservatorio Nazionale Miele attraverso il Concorso Tre Gocce d’Oro, ci sono il Millefiori di Alta Montagna delle Alpi (vallata dolomitica) e il Miele di rododendro, prodotto in Piemonte nei pascoli di alta montagna. Certo, occorre duro lavoro. Lo stesso svolto delle api bottinatrici, che ronzano nei prati dall’alba al tramonto: appena tre secondi per ogni fiore e poi via, subito a impollinarne altro e a prelevarne il nettare dal fondo del calice – il nettario – arrivando a visitare 2mila corolle al giorno. E ricominciare daccapo la mattina dopo. 

Il delizioso cibo dorato: mieli dal mondo

Il delizioso cibo dorato: mieli dal mondo

Questo articolo fa parte del numero 16 di Web Garden: Il linguaggio della Natura: le api.

Il miele, delizioso cibo d’oro, è amato e conosciuto sin dai tempi antichissimi. I primi ad allevare le api furono gli egizi, lungo il delta del Nilo. Per i greci era il cibo degli dei: nella loro mitologia era Melissa, la figlia del re di Creta, a nutrire Zeus di questo nettare prezioso. I romani ne sfruttavano le proprietà terapeutiche e lo utilizzavano per la preparazione di birre, dolci ed idromele (una bevanda data dalla fermentazione del miele diluito in acqua).

È però sotto Carlo Magno, nel Medioevo, che l’apicoltura si struttura realmente. Un editto del 759d.C. imponeva a chiunque possedesse un podere di allevare le api per il miele e l’idromele, e conventi ed abbazie divennero importanti centri di apicultura.

Ma questo fluido meraviglioso è apprezzato in tutto il mondo da millenni, e se ne trova di ogni genere, dal semplice vasetto al supermercato fino a varietà pregiatissime. Il miele più costoso del mondo, per esempio, viene da una caverna profonda 1.800 metri nella valle del Saricayr, nel nord est della Turchia. Scoperto solo nel 2009 dall’apicoltore turco Gunay Gunduz, il miele Elvish (o miele degli Elfi) è stato venduto per la prima volta all’asta per 45.000 euro al kilo.

Gunduz aveva notato che alcune delle sue api erano sparite all’interno di una caverna. Dopo aver organizzato una vera e propria spedizione, l’apicoltore si è calato all’interno dell’antro per scoprire con sua grande sorpresa che nelle sue più remote profondità le api avevano colonizzato un’enorme camera dove il miele era invecchiato al buio per oltre sette anni. La sua particolarità è che non vi sono alveari, ma viene prodotto direttamente lungo le pareti rocciose ed in totale assenza di luce. Esposto a basse temperature, questo miele si cristallizza e richiede quindi un’attenta lavorazione una volta riportato in superficie. Il suo costo esorbitante è dovuto ad una combinazione di fattori che include la raccolta quanto meno impervia della materia prima, la sua complessa lavorazione, il sapore del tutto unico dato dalle sue condizioni e l’indiscutibile fascino che ammanta le sue origini. Il secondo kilo è stato venduto più a buon mercato: ha raggiunto solo i 28.800 Euro!

A small stream in the Rakiura National Park with Manuka trees and clouds reflected in the water.

In Nepal invece esiste un miele selvatico, le cui proprietà psicotrope gli hanno conferito il nome di “Mad Honey”. Definito come un miele allucinogeno, i suoi effetti spaziano da quelli della forte ubriacatura da alcool fino a quelli di un’overdose e derivano dalla graianotossina, una tossina presente nelle piante di rododendro da cui proviene ed è prodotto dalle api himalayane, le più grandi al mondo. La raccolta del Mad Honey è estremamente complessa e pericolosa, poiché gli alveari si trovano su declivi che richiedono le abilità di scalatori espertissimi per essere raggiunti, anche con l’ausilio di scale di bambù alte fino a centinaia di metri.

Una volta guadagnati gli alveari, i raccoglitori usano del fumo per fugare le api, che spesso si fanno aggressive ed i malcapitati non riescono ad impedire di rientrare alla base con decine di punture. Una volta compiuta l’impresa, il prezioso bottino è suddiviso fra i vari villaggi e deve compiere una lunga strada prima di arrivare alla commercializzazione, dove raggiunge il ragguardevole costo di circa 150 Euro al kilo. Nel 2016 il fotografo e documentarista David Caprara ha realizzato il film “The Honey Hunters of Nepal” ed ha sperimentato su di sé gli effetti di questo nettare decisamente inebriante. Questo miele è utilizzato da millenni all’interno della medicina tradizionale nepalese, come antisettico e come rimedio per la tosse. La tribù autoctona Kulung lo utilizza anche durante i riti di natura sciamanica, per favorire sogni e visioni.

Molto più conosciuto ed accessibile è il miele di Manuka. La pianta da cui proviene, è un sempreverde che cresce in Australia e Nuova Zelanda, ricca di metilgliossale: un principio attivo ben noto nella tradizione Maori per le sue proprietà antisettiche, antibatteriche, antiossidanti, cicatrizzanti ed antibiotiche tanto forti da essere efficaci anche contro il pernicioso stafilococco aureo. I suoi benefici sono talmente potenti che questo miele può essere sia ingerito che utilizzato per preparare impacchi cutanei disinfettanti. È efficace anche per la cura dei bruciori di stomaco, del reflusso gastroesofageo e di tutte le malattie da raffreddamento, come anche l’influenza, poiché aiuta ad aumentare le difese immunitarie.

A differenza dei primi due, questo piccolo nettare miracoloso è facilmente reperibile e si può acquistare a prezzi assolutamente più modici.