Silvana Ghigino, direttore della Villa Durazzo Pallavicini

Silvana Ghigino, direttore della Villa Durazzo Pallavicini

Questo articolo fa parte del numero 6 di Web Garden: Acqua

Per il mese di agosto abbiamo scelto di approfondire Arte e Natura attraverso il tema dell’acqua.


Web Garden incontra l’architetto Silvana Ghigino, direttore di Villa Durazzo Pallavicini: a due passi dalla stazione di Genova Pegli troviamo un luogo magico e incantato, un parco dove il genio dell’architetto e scenografo genovese Michele Canzio ha trovato nel committente, il marchese Ignazio Alessandro Pallavicini, un complice e ispiratore.

Web Garden: Come nasce l’idea di paragonare le aree del parco ai tempi di uno spettacolo teatrale?

Silvana Ghigino: Su una collina ripida ed impervia il marchese Ignazio Alessandro Pallavicini e l’architetto Michele Canzio (che era il primo scenografo del teatro Carlo Felice di Genova) hanno realizzato uno dei giardini romantici ed esoterici più interessanti d’Europa.

Forse hanno incubato questo progetto per anni e poi, tra il 1840 e il 1846, lo hanno realizzato. Quando sono mancati hanno portato con loro il mistero del parco. Il messaggio occulto, benché seminato su ogni area del giardino con cura esoterica, non era esplicito.

Apparentemente sembra un bellissimo parco romantico; abbiamo dovuto portare avanti uno studio durato 40 anni, e che continua ancora oggi, per comprendere la simbologia che sta dietro ogni elemento architettonico e vegetale per poi “rivitalizzarla” con una corretta pratica di restauro.

Tra metà settecento e inizio ottocento (il confine temporale è molto fluido) il giardino all’inglese si sviluppa e si propaga dall’Inghilterra portando con sé i sottili significati del credo massonico.

La tipologia dei giardini massonici era quindi molto diffusa in Europa: si tratta di giardini all’inglese, all’ultima moda, densi di contributi romantici e di elementi insoliti e inconsueti, in grado di stimolare la curiosità e il mistero esoterico nel visitatore.

Il Parco Pallavicini è stato ideato come un vero e proprio percorso iniziatico; non si tratta di un giardino nel quale sono inseriti simboli massonici ma della materializzazione estesa di un vero e proprio racconto esoterico.

Il giardino risulta misterioso e di difficile comprensione soltanto a chi non ha gli strumenti per comprenderlo e va detto che oggi, con la nostra cultura mirata più ai temi tecnici e tecnologici che classici e filosofici, non abbiamo più gli strumenti per poterle capire e interpretare.

Per comprendere il giardino a fondo bisogna conoscere profondamente l’eclettismo, la massoneria e l’esoterismo. L’inserimento di grotte, piante, colori e ponti porta il parco a essere letto in chiave esoterica.

Nel parco è inserita tutta una simbologia legata alla massoneria, dove l’architetto traveste la storia, impregnandola di elementi esoterici e legati all’ars muratoria.

L’architetto Canzio progettando un parco di 8 ettari si comporta un po’ come se fosse a teatro e lo organizza come un melodramma, dividendolo in tre atti ognuno composto da 4 scene più un prologo, un antefatto ed un esodo finale. Nel fare questo inverte il concetto stesso di rapporto tra spettatore e teatro: qui è il visitatore che va incontro alla performance del giardino e al susseguirsi delle scene, non è lo spettatore fermo che osserva quanto accade sul palcoscenico.

Non è un caso che gli atti previsti siano 3, numero intrigante e fondamentale che allude a fasi alchemiche e a stadi di crescita massonica. Ma nel parco la numerologia si insinua continuamente oltre che con il numero tre con il quattro, numero della materialità e l’otto, il numero dell’infinito.

Dopo la morte del marchese tutto è lentamente scivolato nell’oblio; quando io e Fabio Calvi abbiamo iniziato a studiarlo in qualità di laureandi presso la Facoltà di Architettura di Genova tutto era stato scordato benché ancora presente. In allora eravamo molto giovani e poco istruiti in materia esoterica; restare affascinati da un luogo tanto bello quanto misterioso è stata una vera opportunità di sviluppo culturale ma anche e specialmente spirituale.

Pian piano, oltre alla bellezza esplosiva della natura, si sono scoperte le articolazioni teatrali e poi i simboli esoterici che il marchese e il suo architetto avevano adagiato sulla collina in maniera così copiosa da diventare occulta.

Bisogna ricordare che la massoneria era avversata a quei tempi (per motivi del genere si rischiava l’arresto) il chè mi fa pensare che il marchese e l’architetto si saranno molto divertiti a costruire un’opera massonica occulta, che sapevano essere praticamente intelleggibile ai ‘profani’.

Il parco è davvero molto suggestivo e ricco di scorci: è mai stato un set cinematografico? 

Abbiamo avuto recentemente gli operatori della Rai per il programma CITTA’ SEGRETE, negli anni scorsi riprese per Bell’Italia e altri programmi turistico-culturali. Personalmente non sono convinta che questo parco possa essere utilizzato come vero e proprio set cinematografico; nonostante la sua dimensione gli spazi sono quelli di un lungo sentiero che per 3 km passa di scenografia in scenografia.

Gli scenari sono mozzafiato ma molto raccolti ed estremamente fragili. A me, che sono preposta alla sua conservazione, piacerebbe moltissimo incontrare un regista interessato che ne comprendesse le potenzialità e fosse capace di utilizzarle nel pieno rispetto del suo valore storico ed artistico.

Ci sono essenze storiche e rare? Come cambia il parco al variare delle stagioni?

Sì, molte rarità esotiche e piante monumentali tra le quali spicca in assoluto il Cinnamomum canfora sito sulle rive del Lago Grande. Per quanto relativo al variare della vegetazione la risposta è pochissimo perché, da buon scenografo, Canzio ha previsto una vegetazione organizzata quasi solo con sempreverdi che consente di avere una scenografia stabile in ogni stagione.

Comunque le fioriture esistono e si susseguono in ogni stagione con prevalenza alla primavera. Eccezionale è il bosco delle camelie, che regala, tra fine febbraio e inizio aprile, uno spettacolo di fiori impareggiabile. Si tratta del camelieto più esteso e antico d’Italia.

Poi ci sono i Giardini di Flora, rappresentazione del paradiso terrestre, che vengono mantenuti in una continua fioritura. I giardinieri lavorano continuativamente sugli 8 ettari di massa vegetale, che deve sempre essere perfetta: è davvero una grande fatica!

Anche se il problema più consistente è quello della manutenzione dei manufatti architettonici e delle opere d’arte.

Il parco è davvero molto suggestivo e ricco di scorci: è mai stato un set cinematografico? 

Abbiamo avuto recentemente gli operatori della Rai per il programma CITTA’ SEGRETE, negli anni scorsi riprese per Bell’Italia e altri programmi turistico-culturali. Personalmente non sono convinta che questo parco possa essere utilizzato come vero e proprio set cinematografico; nonostante la sua dimensione gli spazi sono quelli di un lungo sentiero che per 3 km passa di scenografia in scenografia.

Gli scenari sono mozzafiato ma molto raccolti ed estremamente fragili. A me, che sono preposta alla sua conservazione, piacerebbe moltissimo incontrare un regista interessato che ne comprendesse le potenzialità e fosse capace di utilizzarle nel pieno rispetto del suo valore storico ed artistico.

Ci sono essenze storiche e rare? Come cambia il parco al variare delle stagioni?

Sì, molte rarità esotiche e piante monumentali tra le quali spicca in assoluto il Cinnamomum canfora sito sulle rive del Lago Grande. Per quanto relativo al variare della vegetazione la risposta è pochissimo perché, da buon scenografo, Canzio ha previsto una vegetazione organizzata quasi solo con sempreverdi che consente di avere una scenografia stabile in ogni stagione.

Comunque le fioriture esistono e si susseguono in ogni stagione con prevalenza alla primavera. Eccezionale è il bosco delle camelie, che regala, tra fine febbraio e inizio aprile, uno spettacolo di fiori impareggiabile. Si tratta del camelieto più esteso e antico d’Italia.

Poi ci sono i Giardini di Flora, rappresentazione del paradiso terrestre, che vengono mantenuti in una continua fioritura. I giardinieri lavorano continuativamente sugli 8 ettari di massa vegetale, che deve sempre essere perfetta: è davvero una grande fatica!

Anche se il problema più consistente è quello della manutenzione dei manufatti architettonici e delle opere d’arte.

Il Giardino di Nemo: un orto sotto il mare di Noli

Il Giardino di Nemo: un orto sotto il mare di Noli

Questo articolo fa parte del numero 6 di Web Garden: Acqua

Per il mese di agosto abbiamo scelto di approfondire Arte e Natura attraverso il tema dell’acqua.


Agosto, estate, mare. Inevitabili associazioni di pensiero per questo numero del Magazine. Senza perdere, ovviamente, il legame con la natura e i giardini.

Così abbiamo scovato un giardino subacqueo nostrano di cui raccontarvi: il Giardino di Nemo.

A Noli, situato in un’insenatura del ponente ligure, a quaranta metri dalla spiaggia e a venti piedi sotto la superficie del mare, trovano casa sei biosfere trasparenti riempite d’aria ancorate tramite catene e viti. Un progetto che nasce da due grandi passioni di Sergio Gamberini, fondatore dell’azienda di attrezzature subacquee Ocean Reef Group: il mondo subacqueo e il giardinaggio.

Un luogo, una sperimentazione in continua evoluzione in cui le competenze di Ocean Reef in campo di ricerca e sviluppo, in particolare per l’impiego di attrezzature adatte ad esperienze subacquee più ricche e naturali, hanno permesso la nascita di un giardinaggio a base idroponica: ovvero coltivate senza terreno in un ambiente controllato, servendosi di una soluzione ricca di sostanze nutritive per fornire acqua e minerali alle loro radici.

Sollecitato dalla fantasiosa idea di poter coltivare il basilico sott’acqua, Gamberini è riuscito in realtà a dar vita ad un ambiziosa esperienza di agricoltura alternativa che, in prospettiva, potrebbe essere usato in quella zone in cui a causa della condizioni ambientali, economiche e/o morfologiche la crescita delle piante risulta difficile e sfidante.

Tecnologie preziose grazie alle quali l’uomo può creare un sistema che sfrutti le risorse disponibili in natura, come i corpi idrici e con cui può effettuare sperimentazioni utili alla ricerca per trovare fonti alternative alle acque presenti in superficie.

A riva, la Torre di Controllo, supervisiona il funzionamento delle biosfere attraverso due diversi sistemi di comunicazione: uno di superficie ad ultrasuoni, necessario per mantenere il contatto con il lavoro dei subacquei e uno tramite interfono full duplex, attraverso cui comunicare con i subacquei all’interno delle biosfere.

Poiché l’agricoltura rappresenta ben il 70% dell’uso di acqua dolce a livello mondiale, essendo inevitabilmente parte delle azioni che contribuiscono alla scarsità di acqua. Per non parlare della problematica questione dei pesticidi che questo tipo di agricoltura sottomarina potrebbe decisamente contrastare dato che le biosfere preservano la coltivazione dall’aggressione dei parassiti.

Insomma, possiamo parlare di “artisti del nostro tempo” – in pieno stile Web Garden – raccontandovi del lavoro che l’equipe del Giardino porta avanti ormai da qualche anno? Noi crediamo di sì e scegliamo di raccontarvi queste esperienze per ritrovare speranza e fiducia, oltreché per offrirvi la possibilità di viaggi virtuali o reali.

Perché il Giardino di Nemo è gratuito e aperto a tutti, è visibile dalla superficie ma può essere ovviamente esplorato tramite immersioni o con visite guidate subacquee organizzate dai diving center della zona.

Ninfee e loto: regine dell’acqua

Ninfee e loto: regine dell’acqua

Questo articolo fa parte del numero 6 di Web Garden: Acqua

Per il mese di agosto abbiamo scelto di approfondire Arte e Natura attraverso il tema dell’acqua.


Ninfee e Loto: fiori che affondano le loro radici nel fango e nelle acque stagnanti, per poi esprimere una fioritura di petali immacolati che sembrano danzare sull’acqua, quasi estranei alle loro modeste origini. Spesso le due specie, seppure distinte, vengono confuse fra loro, ma entrambe incarnano, grazie alle loro comuni peculiarità, una simbologia profonda di purezza e rinascita, sia nella cultura occidentale che in quella orientale.

L’origine di tale confusione deriva non solo dal loro aspetto simile, ma anche dall’etimologia del nome delle ninfee, che proviene dal termine arabo nenùfar: “loto di colore blu”. Il loto però appartiene ad un genere diverso, costituito da due sole specie: Nelumbo nucifera e Nelumbo lutea.

Nella cultura greca le ninfee racchiudono in sé diversi miti, riconducibili alle ninfe da cui traggono il nome (nympheae). Per i greci quindi le ninfee erano simbolo dell’amore non corrisposto, ma anche della capacità di dimenticare il passato, per intraprendere una nuova vita.

Ila e le Ninfee di John William Waterhouse

Plinio il Vecchio rimanda l’origine di questo fiore ad una naiade che fu tramutata dagli dei in fiore galleggiante in seguito alla sua morte per gelosia nei confronti di Ercole. Un’altra leggenda invece narra di una meravigliosa ninfa che viveva presso un lago. Il Sole si innamorò di lei e scese dalla volta celeste per raggiungerla. Coperta di vergogna per il suo aspetto più ordinario, si immerse nel fondo dell’acqua per cercare dell’oro da offrire al Sole.

L’oro era tuttavia troppo pesante per la fanciulla, che sprofondò nel lago, mostrando solo le mani colme di questo suo dono. Fu così quindi che la ninfa si trasformò in questo magnifico fiore, che si schiude al cospetto del Sole, per ritrarsi quando lui l’abbandona.

La ninfea è citata anche nell’Odissea. Le sue foglie hanno proprietà psicotrope che provocano amnesia: Ulisse era a conoscenza di una popolazione che se ne nutriva ed inviò tre uomini alla ricerca di queste genti. Tuttavia, i tre argonauti si cibarono della pianta e dimenticarono la strada di ritorno verso la nave.

Una volta ritrovati, Ulisse fu costretto a legare i tre argonauti all’albero della nave, perché ribelli non facessero ritorno tra la nuova gente e all’oblio di questo fiore.

Per la purezza dei suoi petali, a dispetto del fango da cui proviene, in epoca cristiana la ninfea è divenuta emblema di castità e grazie alle generose dimensioni dei suoi petali, di carità. Le virtù attribuite a questo fiore hanno fatto si che fosse raffigurato sulle facciate delle chiese e sui capitelli.

In tempi più recenti, non si può non ricordare la ricerca artistica intrapresa da Claude Monet nel suo giardino di Giverny, intento a catturare ogni variazione di tono e di luce delle ninfee del suo laghetto, con una dedizione quasi contemplativa all’emozione sempre nuova che il costante variare della natura gli offriva: una rinascita che si ripeteva all’infinito.

Proveniente dall’America settentrionale nella varietà bianca e dall’Asia con i petali rosa, il fiore di loto ha origini antichissime, tanto che la sua comparsa è stimata a 80 milioni di anni fa.

Anche i suoi semi sono incredibilmente longevi: nel 1951 in Giappone furono ritrovati dei semi di loto di oltre duemila anni. Una volta piantati, diedero vita al “Loto Ohga”, il fiore più antico del mondo. Come per la ninfea, anche il loto è intriso di simbologia e tradizione, particolarmente nelle culture buddhiste e induiste. 

Per gli hindu il loto, dalla forma che evoca il grembo materno, è simbolo di nascita e resurrezione, tanto che le divinità femminili sono rappresentate sedute su questo fiore, nell’atto quindi di emergere ed essere da esso generate. Per i buddhisti il loto è simbolo di purezza e perfezione. Ciò deriva probabilmente dalla capacità che hanno i suoi petali di mantenersi immacolati anche nelle acque stagnanti. Essi sono rivestiti infatti da una cera idrofobica che li rende sempre puliti e asciutti, a dispetto dell’habitat circostante: questa proprietà è nota come “l’effetto loto”.

Fiore sacro, emblema dei centri energetici o chakra, il fiore di loto rappresenta anche la capacità di distaccarsi dalle miserie terrene per assurgere ad un più elevato piano spirituale: non a caso la leggenda vuole che il Buddha sia nato da questo fiore ed è sovente rappresentato in contemplazione nella posizione nota come del fiore di loto.