Le Ghirlande degli Dei

Le Ghirlande degli Dei

Questo articolo fa parte del numero 19 di Web Garden: La Botanica Fantastica

Le Ghirlande degli Dei: è questo il titolo di una piccola e deliziosa opera dell’autrice americana Mary Taylor Simeti, illustrata dagli acquerelli di Susan Pettee ed edito dalla Palermo University Press, che racconta il fiorire delle erbe spontanee all’ombra degli antichi templi greci in Sicilia e la loro capacità, con l’alternarsi delle stagioni, di mutare il paesaggio dei grandi siti archeologici, patrimonio sublime di questa meravigliosa isola baciata dal sole.

Newyorkese, nata da una famiglia di intellettuali – il padre Francis Henry Taylor era stato direttore del Metropolitan Museum of Art – Mary Taylor Simeri si trasferisce in Sicilia per quello che avrebbe dovuto essere un breve periodo, ma se ne innamora e non l’abbandona più.

Affascinata dalla sua mitologia, dai colori così forti e diversi rispetto alle sue radici di acciaio e vetro, dai suoi odori, dai sapori, è oggi considerata la Grand Dame dell’arte culinaria sicula. Ha pubblicato numerosi volumi, tra cui il più noto, Mandorle Amare: un viaggio a ritroso tra ricordi e ricette in collaborazione con Maria Grammatico, erede della più antica pasticceria di Erice. Scrive inoltre assiduamente per il New York Times e il Financial Times.

Accomunate dal medesimo interesse per l’archeologia e la botanica, Mary Taylor Simeti e Susan Pettee hanno ripercorso, in un viaggio di studi pluriennale che rimanda allo spirito e alla fascinazione del Gran Tour, i siti più importanti del territorio, fra cui Segesta, Selinunte, Morgantina, Agrigento e Siracusa, per individuare quei fiori e quelle erbe spontanee che lì crescono, quasi a cingere i templi come le ghirlande che venivano deposte sul capo degli dei, e che oggi hanno il compito di “alleviare la pena delle rovine con la loro gentilezza”.

La botanica fantastica e i vegani nel Medioevo

La botanica fantastica e i vegani nel Medioevo

Questo articolo fa parte del numero 19 di Web Garden: La Botanica Fantastica

Nella sezione Beinecke dedicata ai codici rari, al numero d’inventario MS 408, la Biblioteca dell’Università di Yale custodisce «il libro più misterioso del mondo». Nessuno è ancora riuscito a decifrarlo, e a Yale i sapienti non mancano. Il Manoscritto Voynich – questo il suo nome – è il testo più celebre e oscuro di Botanica Fantastica, ma non l’unico.

Redatto su pergamena di vitello tra il 1404 e il 1438, ha acceso la fantasia di scrittori, filologi e complottisti, ed è stato protagonista in un episodio del fumetto italiano Martin Mystère (1982). Nessuna ipotesi o trama, però, ha mai sciolto l’enigma dei 113 disegni di piante sconosciute illustrate a colori nel codice, né delle loro descrizioni, annotate in un idioma che non appartiene ad alcun sistema alfabetico a oggi classificato. Ci sono radici e infiorescenze che, s’ipotizza, fossero materia ghiotta per gli alchimisti – mestiere molto in voga nel Medioevo – ma dove crescessero e a cosa servissero, chissà.

Come non bastassero le 60.065 specie di piante reali censite dalla Botanic Gardens and Plant Conservation, o le 391mila varietà calcolate nel mondo dai ricercatori britannici dei Royal Botanic Gardens, la tradizione delle piante immaginarie, mai catalogate in un vero erbario, è antica e corposa.

Nel 1330, nella relazione di un viaggio in Oriente, frate Odorico da Pordenone descrive una pianta che, al posto del fiore, genera un agnello. L’animale se ne sta lì, in punta allo stelo come uno stilita sulla colonna, attaccato a un cordone ombelicale flessibile che gli permette di chinare il muso a terra e nutrirsi d’erba. Si chiama Barometz e si trova già in Erodoto (442 a.C.), Theophrastus (306 a.C.) e Plinio il Vecchio (77 d.C), mentre nel Talmud compare con il nome di Jeduah. Pochi anni dopo, lo scrittore-viaggiatore John Mandeville ne conferma l’esistenza (1355) e se ne nutre con gusto perché «la carne sa di pesce e il sangue di miele».

L’Agnello vegetale di Tartaria – dal nome arcaico della regione dell’Asia dove se ne attestava la presenza – diventa così famoso che chiunque passi tra il Mar Caspio e gli Urali ne incontra uno: il diplomatico austriaco Sigismund von Herberstein (1549), il cartografo francese Guillaume Postel (1552), lo scienziato napoletano Giambattista Della Porta (1591), il poeta ugonotto Guillaume de Salluste Du Bartas (1578).   

La cultura occidentale risponde per le rime. Non sia mai che solo l’Oriente produca meraviglie. Nel 1188, l’ecclesiastico gallese Giraldus Cambrensis s’imbatte in un albero, tipico delle coste irlandesi, da cui germogliano anatre. Pochi anni dopo, le Bernacae o Anatre Vegetali d’Irlanda vengono descritte anche dal frate domenicano Vincent de Beauvais. Il mondo religioso è deliziato. Le Bernacae iniziano a spuntare ovunque: in quanto vegetali, si possono mangiare anche in Quaresima. Dirime la questione papa Innocenzo III, che nel 1215 stabilisce l’astinenza da ogni tipo di carne, di qualunque origine. E così sia. Ma le leggende sono dure a morire. Nel 1605 il botanico francese Claude Duret pubblica a Parigi la sua Histoire admirable des plantes et des herbes, classificando specie di alberi che partoriscono animali: le foglie caduche che toccano l’acqua diventano pesci; quelle che finiscono al suolo, uccelli marini.

La Botanica Fantastica sopravvive ai secoli e ai negazionisti. Nel 1981 l’artista romano Luigi Serafini pubblica il Codex Seraphinianus, composto – come il Manoscritto Voynich – in una lingua inventata. Per Italo Calvino è «l’enciclopedia di un visionario»: benché figlio di un agronomo e di una botanica, lo scrittore italiano è niente affatto scandalizzato dall’improbabile flora disegnata nel libro, né dalle piante con nomi indecifrabili e forme che sfidano il buonsenso della fisica.

Gli fa eco, nel 1976, il pittore statunitense Leo Lionni, che pubblica per Adelphi La botanica parallela, con 23 illustrazioni e 32 tavole fuori testo che descrivono piante fantastiche con il rigore di un trattato scientifico. Un esercizio di fantasia che riscopre l’appetitosa carne medievale del Barometz, garantita vegetale al 100 per cento.

Per la gioia di tutti i vegani.

Viaggio in Sicilia

Viaggio in Sicilia

La bellissima città di Palermo ha accolto gli amici di Web Garden nel primo fine settimana di marzo con l’estro che le è consueto. La Sicilia è una regione magica, ma Palermo lo è di più, con i suoi colori e la sua atmosfera dove si fondono in modo naturale tre diverse culture: araba, normanna e spagnola.

Non si può non rimanere incantati dallo sfarzo e dall’unicità di Palazzo Reale, rinominato – con l’avvento della Repubblica – Palazzo dei Normanni, oggi sede dell’Assemblea Regionale. Di questa residenza reale, la più antica d’Europa, abbiamo potuto apprezzare appieno la bellezza grazie alla nostra bravissima guida, Daniela.

Abbiamo molto ammirato la stanza di re Ruggero I: a differenza della Cappella Palatina, reca mosaici che non celebrano un culto religioso ma affermano in modo importante il potere dei reali. Mosaici bizantini in oro zecchino raffiguranti leoni, pavoni, centauri e scene di caccia che danno conforto alla fusione esistente tra le culture diverse.

E che dire della Cappella Palatina, recentemente restaurata, anch’essa ricoperta di mosaici da terra fino al soffitto, realizzato con un legno particolare che si trova nella dorsale montuosa delle Madonìe? Non basta un’intera giornata per godersi tutta la meraviglia di questa basilica siculo-normanna, dal 2015 Patrimonio Unesco dell’Umanità, che il poeta e scrittore francese Guy de Maupassant definì «il più sorprendente gioiello religioso sognato dal pensiero umano».

Sobria ma non per questo meno bella, tanto da essere anch’essa Patrimonio dell’Umanità, è la chiesa di San Giovanni degli Eremiti, cui si accede attraversando un giardino così rigoglioso che sembra inneggiare al paradiso, col suo chiostro abbellito da colonne con capitelli a foglie d’acanto e piante lussureggianti come in un libro di fiabe.

Daniela ha poi insistito per accompagnarci alla Cattedrale, lo straordinario Duomo cittadino con i suoi quattro campanili angolari in stile normanno-gotico: per lei non era pensabile che partissimo senza averla vista, e come darle torto.

Sabato mattina siamo andati a visitare la Valle dei Templi con il suo meraviglioso giardino di Kolymbethra e, poco distante, il Central Cultural Art di Favara. Kolymbethra è molto di più di quanto avevamo raccontato. È un luogo magico e senza tempo. Gli scorci unici che offre tolgono il fiato per la loro bellezza, resa ancora più dolce dai mandorli in fiore che li incorniciano.

Grazie al professor Lo Pilato e alla nostra guida, Gigi, abbiamo appreso che 2500 anni fa l’intera valle che faceva riferimento alla città di Akragas  venne trasformata in un lago per consentire ai 250-300mila abitanti di approvvigionarsi con quello che era – e ancora è – il bene più prezioso: l’acqua.
Kolymbethra in greco significa “piscina”, ed ecco spiegato il rinvenimento di 18 gallerie sotterranee attribuite all’architetto Feace nel 480 a.C. Oggi, grazie a questi tunnel sotterranei, si può godere di una natura florida e rigogliosa tutto l’anno, persino in estate, malgrado il caldo torrido che si registra in questa incredibile terra siciliana.

Anche il tempo è stato clemente. Per quanto le previsioni non fossero inizialmente buone, ci ha invece consentito di goderci il giardino di Kolymbethra e la meravigliosa Valle dei Templi con i suoi monumenti.
Particolare è stata anche la visita al paese di Favara, nel cui centro storico si trova il Central Cultural Farm: galleria d’arte en plein air e residenza per artisti; esempio di come si possa recuperare un territorio investendo sulla cultura.

L’iniziativa, assolutamente pregevole, nasce da una coppia di sposi che, nel 2010, ha acquistato alcune dimore ed edifici, disposti attorno a una corte principale e sette piccoli cortili. Così, nelle piccole vie del centro, oggi si possono trovare opere di artisti emergenti che vogliono trasmettere messaggi trasversali.
Anche l’idea di piantumare all’interno di un’antica dimora, Palazzo Miccichè, esemplari di piante ha l’intento di voler rivendicare la natura, soprattutto in un posto dove l’uomo – attraverso le sue costruzioni – ne ha distrutto, o almeno rovinato, il paesaggio.

Aggiungete a tutto ciò l’allegra compagnia e l’arte culinaria del luogo, che ci ha allietato con le sue prelibatezze (dai supplì alla pasta con le sarde, dagli involtini di pesce spada ai meravigliosi cannoli), gustate sorseggiando vini bianchi come il Catarratto e il Grillo o rossi come il Nero d’Avola, ed ecco che il primo evento 2023 di Web Garden si è felicemente compiuto in amicizia e curiosità, nello splendore della Storia, e naturalmente dell’Arte e dei Giardini.

Galleria

Emanuele Montagna al Teatro Juvarra con Natura!

Emanuele Montagna al Teatro Juvarra con Natura!

Questo articolo fa parte del numero 19 di Web Garden: Armonie autunnali

La voce di Emanuele Montagna, unita alla musica di Gabriel Yared, ci accompagna lungo un viaggio alla scoperta dei boschi incantati di George Bayron,  per poi farti proseguire nell’armonica natura di Emily Dickinson.

Emanuel, regalandoti quasi l’illusione di vedere lo scaiottolo il calabrone, il mare il grillo in quanto natura è paradiso, riesce a farti percepire il dialogo di Umberto Saba con la capra che stava sola e legata in un prato e belava e quel belato era fraterno al dolore, per poi farci giungere infine ad ammirare la graziosa Luna di Giacomo Leopardi che tutto vede della nostra travagliata vita .

Natura: Emanuele Montagna al Teatro Juvarra

Natura: Emanuele Montagna al Teatro Juvarra

Questo articolo fa parte del numero 20 di Web Garden: la Natura dell’arte

Il direttore del teatro Colli di Bologna tra Emily Dickinson e Gabriele D’Annunzio al teatro Juvarra .

Per concludere con il vecchio ed aprirsi al nuovo che avanza, il Magazine di dicembre è dedicato alla costante tensione fra il creare e il conservare in arte e in Natura

Un recital intitolato “Natura” e promosso da Web Garden per un evento di beneficienza a favore della Onlus “Fondazione Sistema Ollignan”, organizzazione non profit che opera in un contesto di natura prevalentemente agricola a favore di attività occupazionali e educative per persone disabili.

Martedì 6 dicembre, al teatro Juvarra di Torino, gioiello di architettura in puro stile liberty d’inizio ‘900, l’attore e regista Emanuele Montagna ha incantato il pubblico con un recital di testi letterari su musiche contemporanee, accompagnando lo spettatore in un percorso di pura poesia.

Un arcobaleno di autori che hanno celebrato la Natura in tutte le sue sfumature ha contribuito a rendere magica l’atmosfera: da Giorgio Caproni con il suo Inno alla Natura a I Fiori di Aldo Palazzeschi, da George Byron con Vi è un incanto nei boschi a Gianni Rodari con le sue poesie Vattene Natura e Il cielo è di tutti.

Montagna ha emozionato il pubblico anche con altre liriche: A Silvia e Alla luna di Giacomo Leopardi, La Capra di Umberto Saba e La pioggia nel pineto di Gabriele D’Annunzio. Il culmine della pièce teatrale si è raggiunto con il Laudes Creaturarum di San Francesco, cui è seguita una performance dell’artista fuori programma in omaggio a Dante Alighieri.

Le musiche di Gabriel Yared, Cyrille Aufort e David Lang, premi Oscar per le loro celebri composizioni musicali cinematografiche, hanno trasportato lo spettatore in un viaggio senza tempo, dove unica stella polare era la voce incantatrice di Emanuele Montagna.

La bellezza del teatro Juvarra, unico e suggestivo nel suo genere, sede inoltre di un circolo dedicato alla magia, ha fatto da cornice all’evento e ha reso la rappresentazione ancor di più densa e emozionante.

La serata è stata resa possibile grazie al sostegno degli sponsor e alla partecipazione degli associati, che hanno aderito con entusiasmo all’iniziativa culturale e benefica promossa dall’associazione Web Garden.

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Il Foliage, l’armonia di colori dell’autunno

Il Foliage, l’armonia di colori dell’autunno

Questo articolo fa parte del numero 19 di Web Garden: Armonie autunnali…

L’autunno: quella stagione in cui lentamente la natura si ripiega su sé stessa e piano piano si lascia morire in attesa della rinascita primaverile. È un periodo di malinconica contemplazione, di trasformazione lenta, di raccoglimento. Ma questo spogliarsi necessario, questo mettersi a nudo per prepararsi alla veste nuova che il futuro le riserva, è caratterizzato in alcuni luoghi da uno dei più meravigliosi spettacoli di colori che la natura possa offrire, una sorta di glorioso canto del cigno.

Noto con il termine di foliage, la sua derivazione è inglese ed indica semplicemente il fogliame degli alberi. Si deve agli Stati Uniti l’accezione che oggi se ne fa comunemente, ossia lo splendore del mutamento dei colori delle foglie in questa stagione. Il verde rigoglioso lascia il posto alle sue sfumature più tenui che poi virano al giallo, al rosso, a tutti i toni di marrone. I colori si sovrappongono, si intrecciano ed anche la terra si copre di un tappeto di foglie le cui nuances non sarebbero riproducibili dall’artista più fedele. L’aria è umida e sa di natura, mentre nella brezza le foglie si liberano dai rami come stormi di uccellini. Il graduale mutare dei colori del foliage però non riguarda tutte le specie di alberi, ma solo le caducifoglie che si trovano in zone dal clima temperato.

Web Garden vi accompagna in una passeggiata in giro per il mondo, in alcuni dei luoghi dove questo trionfo raggiunge il suo apice.

Non si può cominciare questo viaggio virtuale se non dal Canada. Il secondo paese più esteso del mondo (dopo la Russia), ha relativamente pochi abitanti ed una natura vastissima ed incontrastata: chilometri di boschi in cui l’acero regna sovrano, tanto che la sua foglia campeggia al centro della bandiera nazionale. Sono moltissimi i parchi nazionali che nel periodo del foliage offrono la vista di panorami mozzafiato, dal parco di Algoquin, vicino a Toronto, al Riverwood Park, nei pressi di Mississauga. L’Agawa Canyon offre un meraviglioso tour in treno, che prevede una corsa di 22 kilometri nel mezzo di una natura tanto spettacolare da essere stata fonte d’ispirazione per Tom Thomson e il Group of Seven, fra i maggiori pittori paesaggisti dei primi del secolo scorso.

Sempre in Nord America, è nel New England, la zona a nord est degli Stati Uniti, che si ammirano i più incantevoli paesaggi autunnali. Le White Mountains del New Hampshire sono una delle destinazioni più ambite al mondo in questa stagione, dipinte del rosso dei loro aceri. Sempre qui sono immancabili le Silver Cascade Falls, nella contea di Carroll: una cascata di 80 kilometri circondata dal bosco. Ma anche la California, dal lato opposto della costa, sebbene meno nota per il foliage, offre una valida alternativa: il Bishop Creek Canyon, per esempio, regala un vasto panorama di rosso e di giallo con le montagne della Sierra Nevada a fare da sfondo. Per una meta più urbana, è meraviglioso il contrasto fra i colori dorati degli alberi d’autunno nel Central Park di New York e le linee precise dei moderni grattacieli che squarciano il cielo di Manhattan.

Spostandoci in Europa, ci dirigiamo verso la Scozia, dalla natura aspra e romantica allo stesso tempo. La foresta di Pitlochry è molto particolare, poiché i suoi pini non cambiano colore, ma formano pennellate di verde fra le variopinte sfumature di tutti gli altri alberi. In ottobre qui si tiene l’Enchanted Forest, un evento notturno in cui la foresta viene animata da luci e musica. L’isola di Skye invece permette di ammirare i giochi di colori riflessi sull’acqua ed una natura che sembra infinita. Un po’ più a sud, in Inghilterra, si può percorrere la foresta di Dean, nel Gloucestershire, sia a piedi che in bicicletta e passeggiare fra i roveri, i castagni ed i faggi tra i quali un tempo cacciava la famiglia reale. Molto particolare è anche il Lake District National Park, che ha ispirato poeti da Coleridge a Wordsworth.

Qui, ai colori tradizionali degli alberi, che possono essere ammirati anche con escursioni in barca lungo i numerosi corsi d’acqua, si unisce quella più unica degli arbusti, che punteggiano il paesaggio con macchie di ocra e di viola. In Francia, la zona della Loira, con i suoi magnifici castelli ed i suoi vigneti a perdita d’occhio, in autunno regala viste commoventi.

Se il Giappone è certamente noto per l’hanami, la fioritura primaverile dei suoi meravigliosi sakura, i ciliegi rosa che tutti conosciamo, anche il foliage autunnale, qui conosciuto come koyo, fa parte della grande tradizione locale e permette di ammirare in particolare i colori fiammeggianti dei suoi aceri. I luoghi migliori in cui bearsi di questo tripudio di rossi sono la città di Nikko, nei pressi di Tokyo, patrimonio dell’umanità dell’Unesco e Kyoto, nel periodo tardo autunnale di novembre e dicembre.

Lo spettacolo del foliage ha un tempo breve ma intensamente emozionante, è l’ultimo fuoco d’artificio al termine della festa. Un momento da assaporare pienamente e di cui riempirsi gli occhi e il cuore prima del sonno invernale.