Acer palmatum ‘Dissectum’

Acer palmatum ‘Dissectum’

Trasformista, cangiante, appariscente, carismatico, ma sempre elegante, raffinato, armonioso, rilassante.

Parliamo dell’Acer palmatum ‘Dissectum’, una serie di varietà di acero giapponese, a lenta crescita (infatti spesso cresce come un arbusto!), caratterizzato da un portamento pendulo, con una forma della chioma ombrelliforme, e per la morfologia delle foglie molto ornamentali: con lobi stretti, frastagliate, più sottili e piccole rispetto gli altri Aceri, che virano dal rosso in autunno, al verde lucente in estate,
passando per l’arancione.

In base alle varietà o cultivar di ‘Dissectum’ avremo degli effetti cromatici differenti: il ‘Dissectum green lace’, per esempio si presenta giallo-oro in autunno e verde smeraldo in estate; mentre il ‘Dissectum Crimson princess’ assume una colorazione rosso cupo nel periodo autunnale.

In primavera, inoltre, spuntano delle piccole infiorescenze colore ruggine che, maturando, diventano i caratteristici semi con piccole ali che provocano sempre stupore quando, staccati dal vento, planano,
allontandandosi dalla Madre, verso il terreno con un movimento elicoidale.

Con l’arrivo del freddo, essendo il fogliame deciduo, si potrebbe pensare che diminuisca il valore ornamentale, e invece esso è in grado di accappararsi lo stesso il ruolo di protagonista nel nostro giardino per via dei meravigliosi intrecci che creano i rami tra di loro.

Apparentemente delicato, esso è in realtà una pianta piuttosto robusta e rustica, resistente al freddo (sebbene soffra i picchi di gelo), generalmente fino a -15°C.

Necessita però di alcuni accorgimenti: ha bisogno di terreni acidi e con un buon drenaggio, perché sebbene voglia molta acqua, non tollera i ristagni. Inoltre è opportuno riparare gli aceri giapponesi dal sole cocente estivo e dare una leggera spuntatina ai rami in autunno: permetterà di ridare forma e ordine alla chioma.

Infine non si può parlare dell’acero giapponese senza parlare della cultura giapponese! Infatti, sebbene di origine asiatica, esso è particolarmente diffuso in Giappone, dove, insieme ai Pini e ai Ciliegi da fiore, è essenziale per la creazione dei tipici paesaggi e giardini nipponici: le immagini degli aceri nei parchi dei templi giapponesi sono infatti iconiche in tutto il mondo.

L’acero è ritenuto simbolo di pace e armonia, per questo viene anche chiamato “kito” (“calma” o riposo”), segno di come esso abbia un significato spirituale, tanto che ogni autunno l’evento momiji- gari (”Caccia all’albero di acero”) spinge moltissimi giapponesi in pellegrinaggio sulle montagne per vedere gli aceri nel loro pieno splendore.

Consiglio perciò al lettore di prendere spunto da questo rito, perchè, che ci si creda o no, ammirare da vicino, di persona, un bel esemplare di acero giapponese, è un toccasana per la mente ed il corpo!

La Mandragola

La Mandragola

Niccolò Machiavelli intitolò così una sua commedia, capolavoro del teatro del Cinquecento e un classico della drammaturgia italiana: “Mandragola”.

Il titolo deriva dal genere di piante (Mandragora) appartenenti alla famiglia delle Solanaceae, di cui le radici, nella commedia, vengono utilizzate per creare, apparentemente, una pozione afrodisiaca e fecondativa…

Infatti alcune caratteristiche delle mandragole hanno dato modo di fomentare numerosissime credenze popolari nei loro confronti, che sono poi sfociate nella cultura pop. Innanzitutto la radice di questa pianta è caratterizzata da una peculiare biforcazione che ne dà una forma antropomorfa, da bambino; da qui la leggenda del pianto della mandragola, in grado addirittura di uccidere un uomo. Capacità, quella di urlare, riportata anche, guarda caso, in Harry Potter, quando durante una lezione di erbologia i maghetti, protetti da cuffie, devono rinvasare le “piante”.

Oltre all’antropomorfismo, esse sono altamente tossiche: in esse sono presenti alcaloidi tropanicim, sostanze attive che hanno effetti sulla frequenza cardiaca e sul sistema nervoso centrale, causando sintomi come stordimento, mal di testa o nausea.

Tutto ciò ha contribuito a far attribuire in antichità alla mandragola poteri magici. Le Solanaceae, di cui la mandragola fa parte, sono una famiglia di angiosperme che comprende molte specie utilizzate, tra le altre cose, come ortaggi, tra cui le patate, le melanzane, i pomodori, i peperoni, e i peperoncini.

Oltre a ciò esse possono anche essere facilmente confondibili con alcuni ortaggi. Le foglie della Mandragola hanno forma ovato-oblunga, corrugata e sono disposte a formare una rosetta basale, proprio come gli spinaci o le lattughe.

Non sono rarissimi infatti i casi di avvelenamento verificatisi in seguito all’ingestione di foglie di mandragora, erroneamente scambiate per foglie di altre specie commestibili. In autunno spuntano una manciata di fiori violacei, imbutiformi, lunghi 3–4 cm e suddivisi in 5 lobi, mentre il frutto è una bacca di circa 3cm color arancione.

È diffusa soprattutto nell’area mediterranea meridionale, dal Portogallo alla Grecia, dalla Sardegna al Nord Africa e al Medio Oriente, prediligendo i terreni calcarei soleggiati.

Ho ritenuto importante descrivervi la pianta nel dettaglio perché ci troviamo di fronte ad un classico esempio in cui l’apparenza inganna.

La Camelia Sasanqua

La Camelia Sasanqua

Cosa c’è di più sorprendente di una pianta che, nelle nostre latitudini, fiorisce d’inverno?

La Camellia, il cui nome deriva dal farmacista e botanico Georg Joseph Kamel che importò verso la fine del XVII secolo la pianta dal Giappone in Europa, è una pianta ora molto diffusa: con più di 200 specie e ancor più varietà essa è ormai coltivata a qualsiasi latitudine e i suoi ibridi vantano le più disparate forme e colori.

La Camellia sasanqua presenta piccole foglie, allungate, merlate verde scuro e lucido, bruno all’inizio della vegetazione. Raggiunge un’altezza che va dai 2 ai 3 m. e un diametro di 1,50 m.

L’originalità di questa specie di Camellia, sempre appartenente alla famiglia delle Theacee, è proprio quella di fiorire dall’autunno fino alla fine dell’inverno. Nonostante questa interessantissima peculiarità e la bellezza dei fiori – abbondanti, semplici, di taglia piccola e a volte profumati! – queste piante
hanno incontrato la meritata attenzione solo recentemente.

Inoltre, presentano il vantaggio di essere meno esigenti del Camellia japonica sulla natura del terreno che di solito lo esige acido. Il significato più importante attribuito alla Camellia è il sacrificio. È un pegno e allo stesso tempo un impegno ad affrontare ogni sacrificio in nome dell’amore. Il significato che gli viene attribuito nel linguaggio dei fiori è il senso di stima e di ammirazione verso qualcuno.

Il simbolismo della Camellia è dovuto al portamento e alla disposizione dei petali che risultano essere rigidi e dotati di una certa carnosità. Queste caratteristiche ricordano le persone solide, di spessore, che non vacillano durante il loro cammino, bensì proseguono senza indugi per la propria strada. Quelle, cioè, di cui si pensa che avranno grande successo e ci si aspetta di vederle presto firmare autografi! È una dedica importante tra amici, innamorati e, perché no, anche tra colleghi di lavoro.

In un giardino, a mio parere, non dovrebbe mai mancare un bel gruppo di Camellie sasanqua: sono eleganti, silenziose, ma regalano delle sorprese nei ‘nostri‘ inverni, fiorendo con dei colori vivaci che rallegrano l’anima.

Camellia Sasanqua.
Arnica Montana

Arnica Montana

L’arnica montana (Arnica montana L.) è una pianta terapeutica della famiglia delle Asteraceae, utilizzata nella medicina fitorerapica e omeopatica per curare vari disturbi.

Essa è una pianta perenne, a fusto eretto, alta dai 20 ai 60cm ed è caratterizzata da infiorescenze che presentano grandi capolini color giallo-arancione, esteticamente simili a quelli della margherita – tanto che molti la confondono con essa – che colorano i paesaggi montuosi da maggio ad agosto.

Endemica dell’Europa, in Italia la si trova soprattutto sulle Alpi e sugli Appennini settentrionali. Infatti esige un habitat particolare: il terreno deve inanzitutto superare i mille metri di altitudine, successivamente deve possedere una determinata acidità e deve essere privo di ristagni, ma soprattutto dev’essere un terreno impervio.

Secondo un’antica credenza, infatti, ironicamente, l’arnica cresce nei luoghi dove è più facile cadere e farsi male: questo perché “Dio aveva voluto dare agli uomini il danno e il suo rimedio”.

Ebbene, è stato dimostrato che gli estratti vegetali dell’arnica possiedono attività antibatterica, antitumorale, antiossidante, antinfiammatoria, antimicotica e immunomodulante. Dagli estratti dei fiori, in particolare, si producono creme e gel omeopatici per uso topico esterno per contrastare il dolore derivante da contusioni, slogature, stiramenti, distorsioni e cervicalgia.

Viene citata in quanto medicinale per la prima volta nel XII secolo nel “De arboris” da Hildegard von Bingen, monaca benedettina, scrittrice, mistica e teologa tedesca per il trattamento di contusioni ed ecchimosi, ma venne trattata intensivamente nei testi medici solo a partire XVI secolo ad Bergzabern (1520–1590), il quale la descrisse e inoltre le attribuì il nome attuale.

Nel XV secolo, le guide alpine ne masticavano le foglie essiccate per prevenire gli affaticamenti dovuti alle arrampicate; mentre i montanari della Savoia, la mischiavano al tabacco della pipa, perché provocava meno tosse o la usavano come tabacco da fiuto. Ciò le valse anche i nomi di Tabac des Vosges o tabacco di montagna.

Inoltre il celebre scrittore Goethe, in seguito a dolori al petto dovuti all’abuso di alcol, era solito prepararsi infusi all’Arnica, elogiandone le proprietà curative.

Bisogna però ricordare che, nonostante gli usi sopra descritti, l’arnica è tossica: l’ingestione anche di pochi fiori può provocare allucinazioni, disturbi digestivi e persino la morte. Come tutte le piante officinali con potenti propietà, l’arnica va dunque usata con parsimonia e conspevolezza, questo perchè “Dio ha voluto dare agli uomini il rimedio e il suo danno”.

DISCLAIMER

Le informazioni qui riportate vogliono essere solo a scopo illustrative e non si vuole assolutamente sostituire il parere medico.

La lavanda

La lavanda

Pianta erbacea, perenne, sempreverde, appartentente alla famiglia delle Labiatae e originaria del bacino del Mediterraneo, la lavanda è ampiamente conosciuta per l’inconfondibile fragranza delicata, fresca e
persistente prodotta dalle sue infiorescenze che esplodono in estate con molti, piccoli e, appunto, profumatissimi fiori, dal colore violetto, raggruppati in spighe.

Le prime notizie della pianta ci arrivano da Dioscoride, botanico e medico greco, vissuto nella Roma
imperiale sotto Nerone, il quale è il primo a citare l’erba Stoecha (derivante dalle isole Stœchades, dove la lavanda cresce copiosa) nel 50 d.C.

Un altro studioso vissuto nella Roma antica da cui ci arrivano notizie della lavanda è Plinio il Vecchio: nel suo Naturalis historia XII, descrive 3 tipologie di lavanda, denominandola “nardo”. Tra questi il “nardo siriaco”, proveniente dalla Siria, sarebbe stato ricondotto all’erba profumata del Re Salomone. L’olio essenziale della lavanda, infatti, è apprezzato da tempi e luoghi molto lontani per un’ampia gamma di condizioni. In particolare i suoi benefici terapeutici contro il dolore e le infezioni e per la sedazione sono presenti nelle medicine popolare e tradizionale di numerose e antiche civiltà.

“Lavanda” deriva dal latino “lavare”, infatti gli antichi romani, così come Arabi e Greci, spargevano nell’acqua del bagno i fiori di lavanda per profumarsi, ma soprattutto per detergersi; questo ad indicare come già si conoscessero le propietà antibatteriche della pianta.

Il suo utilizzo però si dice risalga addirittura all’antico Egitto dove veniva inserita nelle urne sepolcrali e ne utilizzavano l’olio per il processo di mummificazione. Altri narrano che l’antica medicina indiana e tibetana usava la lavanda per curare i disturbi psichiatrici, mentre gli europei del XVI secolo pensavano addirittura che essa potesse migliorare l’intelligenza.

Oggi alcune di queste proprietà sono state dimostrate. Una ricerca del 2003, per esempio, ha dimostrato l’efficacia degli estratti ottenuti dalle foglie di Lavandula utilizzate nella medicina popolare iraniana come rimedi per il trattamento di varie malattie infiammatorie. È stata inoltre dimostrata l’azione neurosedativa di questa pianta, che contribuisce al migliorare le sensazioni di ansia e malessere psicofisico.

Il suo olio essenziale (ci vogliono circa 200 kg di fiori freschi per produrre un solo litro di olio essenziale di lavanda!) è utilizzato in erboristeria e aromaterapia per le sue proprietà digestive, spasmolitiche, carminative, balsamiche, aromatiche, antisettiche, diuretiche, rilassanti e lenitive.

Ma non finisce qui! La lavanda ha anche altri benefici.

Per esempio essa è un ottimo repellente contro le tarme: basta riporre dell’armadio o nei cassetti dei sacchettini di lavanda per scongiurare l’infestazione e profumare la biancheria. Inoltre trova spazio anche in cucina: i fiori essiccati sono commestibili e possono essere utilizzati per condire insalate, per preparare dolci o in risotti e gnocchi, e poi per insaporire le carni bianche, il pesce, la frutta, i dolci e infine il miele. A proposito di questo, le api amano la lavanda, dal cui nettere producono un miele di altissima qualità.

Esistono varietà di lavanda che si differenziano per colore e periodo di fioritura, per fogliame, usi e resistenza. In Provenza, la zona più conosciuta per la coltivazione a scopi cosmetici della lavanda, si trova la Lavandula angustifolia (detta anche officinalis o Lavandula vera) e la Lavandula hybrida, detta “Lavandino” caratterizzata da un profumo molto forte. La sua creazione infatti risale agli anni ’50 quando l’industria di prodotti detergenti faceva grande richiesta di olio essenziale.

In ambito decorativo, la L. stoechas, citata precedentemente, dal portamento compatto, foglia grigia e stelo fiorale molto breve, e altre varierà a taglia bassa (30-40 cm) sono perfette per le bordure, mentre le varietà “inglesi”, più rustiche, che presentano fiori dal viola al blu con varie gradazioni sono più adatte per le aiuole.

Tornando alla Provenza, i campi sterminati di lavanda donano al paesaggio un suggestivo e surreale colore violetto, che ha reso famosa la regione in tutto il Mondo e che ha contribuito alla diffusione del giardino in stile provenzale, appunto, caratterizzato, oltre che dalla nostra protagonista, da ulivi, cipressi e pini marittimi, ma anche piantearomatiche e rampicanti (tra cui il glicine, la malva e il gelsomino), che conferiscono al giardino una eleganza rustica, a patto che si dia molta importanza alla cura nei dettagli.

I colori tenui assieme con i profumi e gli elementi architettonici di materiale naturale come la pietra e la terracotta contribuiscono a donare un clima rilassante.

Non serve però viaggiare in Francia per ammiare questi spettacoli: negli ultimi anni, in Piemonte, in particolare le zone dell’astigiano e del Monferrato, stanno guagdagnando la nomea di piccola Provenza
italiana, grazie alla replica del format provenzale.

Speriamo di trovare anche noi un po’ di relax!