Un’atmosfera surreale e magica ci accompagna durante l’intervista a Polina Bosca. Navate maestose e pareti di mattoni a vista arredate con opere di Eugenio Guglieminetti e di Paolo Spinoglio si legano e si confondono con le bottiglie della cantina Bosca, lasciando senza fiato per la loro imponenza e grandiosità: la grandiosità delle “Cattedrali” di Canelli.
Quello che colpisce di più, tuttavia, è sentir narrare con orgoglio e commozione la storia di questa cantina da una giovane donna, che esprime il sentimento unico che lega lei e i suoi fratelli all’azienda di famiglia.
Web Garden: La tua cantina vanta un’antica storia, hai voglia di parlarcene?
Polina Bosca: Siamo un’azienda nata nel 1831, che attualmente è gestita da mia sorella, mio fratello e da me. Abbiamo l’onore di proseguire una lunga storia di famiglia. In questo momento ci troviamo in una delle quattro “cattedrali sotterranee”, riconosciute dall’Unesco Patrimonio Mondiale dell’Umanità nel 2014 assieme ai territori Langhe, Roero e Monferrato. La candidatura all’Unesco è nata proprio qui. Mio padre e il dottor Gancia volevano fare tornare Canelli agli splendori del passato.
Qui è nato lo spumante italiano, ricordiamolo sempre. Così, cercando di pensare che cosa potesse essere importante per la città, hanno tirato fuori l’idea di fare diventare le cantine Patrimonio Mondiale dell’Umanità. Poiché il sito era troppo piccolo, si decise di estenderlo a tutti i territori della zona. Per noi è stato un traguardo davvero importante. Ci abbiamo messo dieci anni, ma è stato un bel percorso.
Perché le cantine si chiamano cattedrali?
Il nome “cattedrali sotterranee” arriva da mio padre. Quando lui scendeva nella parte centrale di questa cantina gli sembrava di essere nella navata centrale di una cattedrale. Ebbe l’idea di chiamarla “cattedrale” e da lì, poi, il nome diventò “cattedrali sotterranee”.
Quante cattedrali sotterranee ci sono a Canelli?
A Canelli ci sono quattro cattedrali sotterranee: quelle di Coppo, Contratto, Gancia e le nostre.Canelli è una groviera sotterranea: ha più di 25 km di cantine scavate sottoterra. Sono di roccia e tufo, e ovviamente anche di mattoni. Sono state costruite a partire dall’800 e la cosa bella, secondo me, è che ognuna è stata fatta con uno stile diverso.
È anche interessante dal punto di vista architettonico: ce ne sono di basse e larghe, ma anche di strette e alte. Ci sono tante varianti diverse e questo fatto è dovuto anche alla quantità forse di soldi che si avevano in quel momento. Si facevano un po’ più grandi o un po’ più contenute in base alla disponibilità economica. Anche da noi si vedono dimensioni diverse, che denotano anni e periodi diversi di costruzione.
Questa cantina è una tradizione di famiglia che porti avanti con i tuoi fratelli, è così?
È meraviglioso poterlo fare e noi lo facciamo con molto entusiasmo e voglia di emozionare. Per noi lo spumante è un modo di portare gioia ed emozione alle persone. Tutto quello che facciamo cerchiamo di farlo per emozionare e, quindi, per dare un’alternativa emozionante ai nostri consumatori.
Da quanti anni ti occupi della cantina e com’è cambiato, in questo periodo, il tuo mestiere?
Io sono in azienda da una ventina d’anni, ma mi occupo di marketing da poco. Storicamente, noi non abbiamo mai fatto marketing. Durante il Covid abbiamo deciso di dare una svolta alla nostra azienda e di evolverci anche sotto questo aspetto. Prova ne è il cambio del nostro logo, che nasce da un logo del 1900 trovato su un vecchio manifesto.
Lo abbiamo ripreso, abbiamo aperto la “O” di Bosca e ci abbiamo inserito tre stelline, che rappresentano noi tre fratelli che vogliamo uscire dalla “O” per esprimere la voglia e il desiderio di superare noi stessi. Desideriamo proporre al nostro consumatore qualcosa di diverso e alternativo rispetto a quello che possono trovare sul mercato, vuoi per prodotti diversi vuoi per un packaging non abitualmente associato a un prodotto del genere.
Indubbiamente c’è molta fantasia nelle etichette, per esempio all’interno delle scritte troviamo delle frasi: che cosa narrano?
Le nostre sono bottiglie che raccontano. Se si leggono le scritte riportate all’interno di queste lettere, si trova tutta la storia legata al prodotto, oltre a una serie di informazioni sulla bottiglia che si sta per acquistare.
Possiamo dire che il periodo nefasto del COVID vi ha portato a sviluppare la vostra creatività?
Certamente il COVIDci ha bloccato su tanti fronti. Per la sicurezza dei nostri collaboratori abbiamo deciso di chiudere, anche se – essendo una categoria alimentare – avremmo potuto restare in ufficio. Salvo per la parte produttiva, la scelta è stata di lavorare da casa. In quel momento abbiamo deciso di ristrutturare l’azienda da un punto di vista organizzativo ma soprattutto dal punto di vista dell’immagine. Abbiamo creato una nuova linea per il canale Horeca (hotel, ristoranti e bar, ndr), noi che storicamente siamo sempre stati produttori di spumanti per la grande distribuzione.
Inoltre abbiamo scelto di puntare nuovamente sull’Italia, nonostante negli ultimi anni circa l’85% del nostro fatturato fosse estero. Così abbiamo creato una linea specifica per il mercato domestico.
Voi proponete diversi tipi di degustazione, vero?
Ne abbiamo diversi. Per la visita della nostra cantina, Web Garden ha scelto quello di Alta Langa. Si tratta di un prodotto molto ambito e interessante. Inoltre ce n’è ancora poco in giro, poiché è una DOC contenuta.
Quante persone visitano la vostra cantina ogni anno?
Prima del Covid avevamo raggiunto i 14.000 visitatori l’anno e adesso stiamo superando questo numero. Solo lo scorso settembre abbiamo accolto più di 1.500 persone. Inoltre, prima della pandemia avevamo principalmente visitatori stranieri, mentre ora abbiamo tanti piemontesi che vengono a degustare i nostri spumanti e a vedere le nostre “cattedrali sotterranee”.
Qual è una tua ambizione o auspicio per il futuro aziendale?
Vorrei entrare di più nel mercato italiano, vorrei che in Italia ci conoscessero meglio. Siamo un’azienda storica e, oltretutto, queste cantine sono davvero belle. Produciamo spumante da quasi duecento anni. Rispetto al mercato dello spumante in Italia, che – Canelli a parte – nel complesso è relativamente giovane, noi abbiamo un passato molto strutturato e antico che vorrei diffondere sempre di più.
Una coppia giovane e carina ci ha accolti quando abbiamo varcato i cancelli di Villa Anelli: luogo pieno di fascino e segreti sulla sponda piemontese del Lago Maggiore, tra Verbania e il confine svizzero. Impossibile non rimanere incantati dall’abbondanza delle specie di conifere, palme, camelie, azalee, felci che avvolgono il visitatore in un’atmosfera lussureggiante.
La pioggia incessante ha contribuito a rendere ancor più misterioso il parco della villa e, sebbene non ci abbia consentito di visitarlo come avrebbe meritato, ci ha concesso il privilegio di essere intrattenuti dai padroni di casa, con le loro storie sul giardino e sulla passione di una famiglia che – di generazione in generazione – ha creato questo luogo spettacolare.
I trenta ospiti provenienti da Torino, Milano, Bologna ed anche da Barcellona e Zurigo hanno potuto assistere alla bellissima conferenza di Andrea Corneo, il padrone di casa, che ci ha introdotti nel meraviglioso mondo delle camelie e ci ha descritto la preziosa collezione di camelie che ospita il suo giardino. A partire dalla scorsa estate il parco è diventato un museo a cielo aperto, in modo da consentire a tutti gli appassionati di visitarlo ogni ultima domenica del mese.
Orsola Poggi Corneo, moglie attenta e creativa, ha allestito il nostro piccolo banchetto con un centrotavola composto da un lato di frutti rossi (fragole, uva rossa, mirtilli) e dall’altro di frutti sulle tonalità del giallo-verde (banane e pere), in modo da agevolare il nostro viaggio degustativo negli aromi e nei profumi dei vini di loro produzione, che hanno accompagnato il lunch.
Il menù era ispirato ai prodotti dell’orto di casa, con un delizioso pinzimonio da abbinare a una varietà di salse, una più squisita dell’altra, tra cui quella di maionese e arancia. La crema di zucca e mela, cui andava aggiunta una sbriciolata di pane croccante e olio piccante, è stata la squisitezza che ha segnato il punto più goloso di una domenica armoniosa, che altrove sarebbe stata uggiosa: e qui, invece, no.
Una lunga tradizione di famiglia lega Andrea Corneo a Villa Anelli e al suo meraviglioso giardino. Nato e cresciuto proprio lì, in quella splendida proprietà affacciata sul Lago Maggiore, Andrea Corneo è uno dei massimi esperti italiani di camelie.
Appassionato botanico, è anche il presidente della Società Italiana della Camelia.ato il fiore più grande al mondo.
Web Garden: di cosa si occupa la società che preside?
Andrea Corneo: la Società Italiana della Camelia nasce nel 1965 a Cannero Riviera (Verbano-Cusio-Ossola) per iniziativa dell’ingegner Antonio Sevesi, a seguito di una bellissima mostra di fiori recisi che si tenne qualche mese prima in quel luogo. Nel 2000 la sede venne spostata a Verbania. Ha come scopo la ricerca storica e il reperimento di antiche varietà, oltre a un approfondimento tecnico e scientifico su queste piante, ma ha anche l’obiettivo di diffondere e fare riscoprire la loro bellezza. Infatti, se fino all’Ottocento questo fiore aveva avuto un incredibile successo, come dimostrano i tanti quadri che lo ritraggono e i romanzi che lo citano, nel Novecento ha subìto un lento e inarrestabile declino.
Che cosa fanno i soci ?
Abbiamo soci italiani e stranieri che, essendo collezionisti, selezionano nuove varietà che vengono ibridate da semi diversi o anche dallo stesso seme. Dopo di ciò, chiedono alla Società di pubblicare sulla sua rivista le nuove varietà. Oggi esistono circa 25mila varietà coltivate (cultivar)di camelie, all’interno di circa 250 specie botaniche.
La camelia è anche protagonista di mostre e concorsi?
In America e Inghilterra esistono concorsi di fiori recisi di camelie. In Italia, in occasione del congresso internazionale organizzato ogni due anni dalla International Camelia Society, ci sono dei “pre” e dei “post tour” durante i quali visitiamo diversi giardini con importanti collezioni di camelie. In tali occasioni si organizzano anche mostre e altri eventi dedicati a questo fiore.
Quando è stato il primo congresso?
A Stresa nel 1972. Da allora è sempre stato organizzato ogni due anni, a eccezione del 2020 a causa del Covid. È un appuntamento molto sentito dagli appassionati. Il prossimo si terrà a Verbania nel 2023.
È difficile coltivare la pianta di camelia?
Assolutamente no, ma servono alcune accortezze. Appartenendo alle piante acidofile, occorre che il terreno sia acido, che la pianta non sia esposta in pieno sole e che la terra sia sempre umida ma non troppo bagnata, per evitare che le radici marciscano. Se coltivata in vaso, bisogna evitare il ristagno d’acqua sul fondo.
Passiamo a Villa Anelli, che cosa ci racconta?
È un giardino storico di metà Ottocento che si affaccia sul lago. Essendo su una posizione declive è stato pensato con diversi terrazzamenti, tali da consentire di percorrerlo. Ci sono molti esemplari di camelie. Alcune risalgono alla sua nascita, una ventina; tuttavia la grande coltivazione di questa pianta inizia negli anni Sessanta e Settanta, a cura di Antonio Sevesi, uomo importante nella vita di mia nonna che, con arte e passione, si dedicò al giardino. Oggi il parco della villa conta oltre 450 varietà di camelie. Alcune piante raggiungono i 6-7 metri d’altezza.
Ha una camelia preferita?
No, sono tutte splendide. A seconda dell’anno e della stagione, però, ce n’è sempre una che mi dà più soddisfazione di altre per come fiorisce.
Esiste un colore che fa da filo conduttore al giardino di Villa Anelli?
No, ci sono molti colori, che vanno dal bianco al rosso al rosa.
Qual è un colore impossibile per le camelie?
Non esistono camelie blu, mentre per quelle gialle ci stiamo lavorando. Quest’ultime sono molto particolari e delicate. Noi le abbiamo, ma le teniamo in serra a causa della loro fragilità. Una nuova specie di camelia è la Changii , che è stata ibridata con la Japonica per ottenere una fioritura della pianta anche in estate.
La fioritura della camelia non è in primavera?
Normalmente si hanno camelie a fioritura autunnale o primaverile. Ecco perché stiamo provando a coltivare questa nuova specie, così da avere anche una fioritura estiva.
Ci racconti una curiosità?
Poiché da ogni seme nasce una nuova camelia, abbiamo l’usanza che quando arriva una camelia particolare la si chiami con un nome di famiglia. Quindi c’è una camelia che ha il nome di mia nonna, Alessandra Anelli, e di mia madre Giovanna Barbara, entrambe dedicatale da Antonio Sevesi, di mia sorella Benedetta Corneo e, ovviamente, di mia moglie, Orsola Poggi dedicate da me.
Web Garden ha avuto l’opportunità di intervistare Francesco Collura che, oltre ad essere un esperto apicoltore, è anche membro del Consiglio direttivo dell’Associazione Italiana Apiterapia, che studia oltre alle proprietà del miele per il benessere della persona, la possibilità di utilizzare le api per monitorare la qualità dell’ambiente.
Web Garden: Francesco come ha avuto inizio questa sua avventura ?
Francesco Collura: Fin da bambino ero affascinato dal mondo delle api. Il mio primo apiario lo realizzai a vent’anni ma solo 8 anni fa decisi di ricominciare da capo con la mia vita, trasformando una passione in un mestiere.
All’epoca lavoravo come funzionario di banca mi dimisi e aprii una azienda apistica a Cocconato d’Asti.
Tuttavia Lei non si limita a produrre e a vendere miele, vero ?
Essendo membro del Consiglio direttivo dell’Associazione Apiterapia tengo numerosi corsi sulle proprietà benefiche che hanno i prodotti dell’alveare per il benessere della persona con il supporto del dottor Aristide Colonna medico chirurgo e presidente dell’Associazione che ha lo scopo di sviluppare ricerche scientifiche. Il mio contributo è principalmente quello di esperto apistico.
Oltre che al miele la mia attenzione si è orientata soprattutto allo studio del biomonitoraggio ambientale.
Come ha avuto inizio questo studio?
Quasi per caso devo dire.
Deve sapere che a Cocconato d’Asti esiste una storica cava di gesso denominata Gesso Nosei . La cava è gestita da Saint-Gobain Italia, azienda del gruppo francese Saint-Gobain da sempre attento all’ambiente e specializzata nell’estrazione di gesso e nella produzione di cartongesso e intonaci speciali per il green building.
La cava di Gesso , certificata ambiente ISO 14001, esegue continui monitoraggi sugli indicatori ambientali.
Nel 2015 mi chiamò l’allora direttore per iniziare una collaborazione di sperimentazione su un nuovo metodo di rilevazione delle polveri diffuse, al fine di monitorare e analizzare la concentrazione dei solfati nell’ambiente all’esterno del perimetro dell’area. Il mio metodo di sperimentazione ha consentito alla società di dimostrare che la cava non produce effetti contrari alla salute anzi è un valore aggiunto per il territorio.
Quindi le api di Cocconato misurano le polveri diffuse nell’aria delle cave?
Assolutamente si, ma non solo Infatti, attuare un progetto di biomonitoraggio significa cercare di fornire una descrizione del luogo scelto dal punto di vista dei possibili agenti inquinanti. Il biomonitoraggio può essere eseguito partendo da matrici diverse e la ricerca può allargarsi a tutta una serie di inquinanti.
Possiamo dunque concludere che le api sono ottimi rilevatori ecologici. Sono proprio le realtà industriali ad essere maggiormente interessate a questo tipo di monitoraggio: le api ci possono dire se le politiche ambientali, che ormai sempre più aziende mettono in atto sono efficaci, osservando lo stato di benessere delle api, la qualità dei prodotti dell’alveare e l’eventuale presenza di inquinanti.
È stato complicato creare un progetto dì biomonitoraggio?
Inizialmente ho dovuto studiare chimica e tutto quello che è stato pubblicato da diversi ricercatori sull’argomento. Poi dopo avere preso contatto con diversi Atenei , ho infine creato un mio protocollo di biomonitoraggio ambientale che ha ottenuto la validazione scientifica dell’Università degli studi di Torino, Dipartimenti di Scienze Agrarie, Forestali e Alimentari DISAFA di Grugliasco grazie soprattutto al prezioso contributo del professor Marco Porporato del dipartimento DISAFA.
Qual è la sua ambizione?
Quella di creare una società specializzata nel biomonitoraggio ambientale con strumenti alternativi ai classici di monitoraggio. Proporre questo strumento a tutte quelle società che attente all’ambiente lo vogliono comunicare al territorio con un linguaggio semplice e alternativo. Le Api usano un linguaggio universale comprensibile a chiunque.
Oggi gestisco sette progetti di bio monitoraggio per grandi aziende. Il mio è un progetto soprattutto di comunicazione ma supportato da evidenze scientifiche e con un protocollo validato.
Mi spiego meglio. Le aziende hanno tutto l’interesse a dimostrare che usano tutte le accortezze per tutelare l’ambiente ma a volte diventa difficile comunicarlo al territorio e alla cittadinanza. Quale metodo migliore che utilizzare a tale fine le api che come detto usano un linguaggio comprensibile a tutti “Ubi Apis Ibi Salus” dove le api lì la salute diceva Plinio il Vecchio già 2000 anni fa. Se si pensa che un solo chilo di miele è composto da oltre 10 milioni di micro prelievi, quella goccia di miele che viene analizzata, risulta veramente rappresentativa del territorio circostante la stazione di biomonitoraggio e di conseguenza si riesce ad avere un resoconto preciso dello stato di salute dell’ambiente.
Le api di un alveare infatti coprono 7-8 kmq e al giorno possono effettuare migliaia di viaggi toccando milioni di fiori. La capillarità e il raggio di azione delle api sono tali che nessun altro strumento di analisi del territorio è minimamente confrontabile.
Le matrici che possono essere usate oltre al miele sono il polline, la propoli, il pane d’api e le api stesse che con il loro corpo peloso trattengono elementi poi analizzabili. Tramite l’analisi di queste matrici è possibile scoprire la presenza nell’ambiente di metalli pesanti, di pesticidi, di radionuclidi ecc. ma soprattutto la loro non presenza consente di dimostrare l’attenzione che una azienda ha per il territorio e l’ambiente.
Per le api, il 2017 è stato un anno cruciale: l’Onu ha istituito una Giornata Mondiale dedicata a questi preziosissimi insetti, che si celebra ogni 20 maggio e riconosce la loro importanza strategica per il nostro ecosistema.
Dopo non poche alzate di scudi, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha stabilito che le api sono a gravissimo rischio estinzione a causa di molteplici fattori, tra cui l’eccessiva urbanizzazione a discapito del loro habitat naturale, l’inquinamento ambientale e l’uso fuori controllo dei pesticidi. Secondo gli esperti, le ripercussioni di un mondo senza api sarebbero così gravi da stravolgere il volto della Natura e del nostro stesso Pianeta.
Da quella storica Assemblea, gli interventi per la sensibilizzazione e la salvaguardia delle api si sono moltiplicati, in nome della tutela della biodiversità di flora, fauna e di tutti quegli ecosistemi – non pochi – che soffrirebbero per la loro scomparsa. Così sono nati gli apiari integrati, concetto inizialmente ostico ai più, che esprime null’altro se non un nuovo, moderno e rispettoso concetto di apicoltura e api-cultura. Il primo apiario integrato d’Italia è nato a Marostica, in provincia di Vicenza, sulle colline di San Luca. Qui, Andrea Dal Zotto ha realizzato un’area protetta dove è possibile studiare, osservare e – in definitiva – imparare a rispettare le api e il loro universo.
L’apiario ingrato è composto da una struttura in legno cui vengono collegate, esternamente, le arnie destinate alla produzione del miele, a loro volta modificate per permettere ai profumi provenienti dagli alveari di saturare l’aria sia interna sia esterna. I benefici sono numerosi e interessanti. L’apiario integrato consente, ad esempio, di coniugare l’apicoltura con la pratica dell’api-aroma, speciale trattamento di aromaterapia, e con quella dell’api-sound: là dove ascoltare il suono delle api è molto più che sentire un banale “zzzz”.
Sempre più studi hanno dimostrato che respirare l’aria di un alveare rafforza il sistema immunitario. Che sia merito delle resine o degli olii essenziali sprigionati dalla cera, del propoli o dello stesso miele, una serie di respiri profondi in compagnia delle api solleva lo spirito e fortifica il corpo. Questo tipo di aromaterapia ha un’azione curativa e benefica sull’apparato respiratorio e combatte le infiammazioni e i mali di stagione – quanto meno attenuandoli in maniera significativa. Non meno importante è l’api-sound, aiuto prezioso contro lo stress. Il ronzio delle api, con la sua frequenza di 432Hz, è perfetto per la meditazione e per le pratiche di rilassamento.
L’apiario integrato svolge così molteplici funzioni, sia didattiche sia curative. E, dal 2017 a oggi, sono nati numerosi progetti e altrettanto numerosi apiari. Uno tra gli ultimi a essere inaugurato è il Wonder Bee di Grottole, piccolo comune vicino a Matera (Basilicata), ideato nel 2020 su progetto dall’apicoltore Rocco Filomeno assieme a Davide Tagliabue e Carlo Roccafiorito. L’idea era creare un modello riproducile in scala, in modo da diventare una risorsa per l’intero territorio. Una missione felicemente compiuta, assieme all’obiettivo di fare conoscere alle persone – ma soprattutto ai bambini – le api, il loro mondo meraviglioso e l’importanza sostanziale che hanno per l’ecosistema.
Lo scrittore Mario Rigoni Stern scriveva che «le api sono un insieme e non individui»: per loro è impossibile sopravvivere fuori dalla comunità. Ciascuno di questi incredibili insetti conosce la propria ragione d’essere e adempie ai propri doveri istintivamente, senza che nessuno glielo insegni, imponga o solleciti.
L’ape regina ha il solo compito di deporre le uova per garantire la longevità della famiglia, ed è così solerte da depositarne tra le 2 e le 3mila al giorno. I fuchi non devono far altro che fecondare la regina. Le api operaie, nomen omen, assolvono a tutte le altre mansioni: ci sono le api che puliscono le cellette; le api ceraiole che costruiscono e manutengono i favi di cera; le api becchine che eliminano dall’alveare le api morte; le api guardiane, sentinelle formidabili nate per sorvegliare che nessuno entri nell’alveare.
C’è poi l’ape impollinatrice, la più importante tra tutte, che ha un ruolo fondamentale per garantire e mantenere la biodiversità della flora, e di conseguenza di tutti gli esseri viventi. Volando di fiore in fiore, su specie differenti di piante spontanee e d’interesse agricolo, si sporca il corpo e le zampette di polline, per poi trasportarlo su altri fiori permettendone la riproduzione. Così, se oggi l’incredibile e organizzato universo delle api non è più un mondo conosciuto soltanto da entomologhi, apicoltori e addetti ai lavori, un grazie va anche agli apiari integrati, che stanno avvicinando tantissime persone al loro piccolo, grande, imprescindibile “zzzz”.
Commenti recenti